Rischia di scatenare un incidente diplomatico la decisione del Consiglio comunale di Milano di conferire la cittadinanza onoraria al Dalai Lama. Il leader dei buddhisti tibetani – in esilio dal 1959, premio Nobel per la Pace 1989 – è atteso in città per oggi. Ma la comunità cinese di Milano non ci sta e protesta.
Oggi sul caso è intervenuta l’ambasciata cinese a Roma, con un comunicato in cui “esprime forte rimostranza e ferma opposizione”. Secondo Pechino, Tenzin Gyatso – il 14° Dalai Lama, in carica dal 1950 – è “un politico in esilio che da anni si presenta in veste religiosa nello svolgimento delle attività separatiste contro la Cina”. La decisione di accoglierlo “ha ferito gravemente i sentimenti del popolo cinese”, spiega il documento, e potrebbe influenzare i rapporti tra la comunità cinese e l’amministrazione cittadina: “Tutto ciò ha un impatto negativo sui rapporti bilaterali e sulle cooperazioni tra le regioni dei due Paesi”. Il testo prosegue ricordando che la cooperazione fra Roma e Pechino è in pieno boom, e invitando l’Italia a “impegnarsi” nella “promozione dell’amicizia e della cooperazione” con la controparte asiatica.
Sempre secondo Pechino, il Tibet sotto amministrazione cinese avrebbe “sempre beneficiato” di “piena autonomia culturale e religiosa, nonché amministrativa”. E i “risultati di crescita economica, di qualità della vita di cultura e di fede” – ottenuti facendo parte della Repubblica popolare – lo avrebbero “liberato dalla dimensione medioevale in cui era tenuto”. In effetti, prima di essere annesso alla Cina, il Tibet era una terra poverissima che i monaci buddhisti governavano nel solco di un tradizionalismo immutabile. Ma i tibetani hanno pagato a caro prezzo la crescita economica e l’arrivo della modernità: i cinesi non ne fanno parola, ma in Tibet hanno esercitato una dura repressione contro i monaci, che non avevano mai chiesto di essere “protetti” da Pechino. Chi non voleva piegare la testa è stato rimpiazzato con sostituti più accomodanti, per non parlare della robusta immigrazione di cinesi sostenuta dal governo.
Nonostante tutto, però, il sindaco Giuseppe Sala vedrà ugualmente il Dalai Lama, anche se l’incontro si svolgerà in privato a Linate, anziché nella sede istituzionale di Palazzo Marino. A conferirgli la cittadinanza onoraria sarà il presidente del Consiglio comunale, Lamberto Bertolè. “Credo che Milano abbia interesse a essere accogliente rispetto alla comunità cinese e alle loro proposte – ha detto il primo cittadino – però l’interesse è reciproco” Sala ha precisato: “non temo ripercussioni”.
Contro la decisione del Comune hanno protestato vivamente anche le 18 associazioni sino-milanesi: l’iniziativa “offende decine di migliaia di cittadini cino-milanesi perché non tiene conto dell’effettiva realtà storica e attuale del rapporto tra la Cina e la regione del Tibet e presenta la figura del Dalai Lama non semplicemente come esponente religioso ma come capo di uno stato che in realtà non esiste”. C’è anche un attacco alla Lega nord: il movimento non viene mai nominato, ma si denuncia la “speculazione politica di una forza strutturalmente ostile all’integrazione e alla collaborazione multiculturale”. Solo elogi, invece, per il sindaco Sala: non passa inosservata “la sua scelta ponderata di salvaguardare le sensibilità all’interno della comunità cittadina” e così “l’idea di intitolare una via a Ho Feng-Shang”, il console cinese a Vienna che salvò migliaia di ebrei durante l’Olocausto, nominato Giusto tra le nazioni e soprannominato “lo Schindler cinese”.
Il Dalai Lama non è nuovo a queste polemiche. Nel 2007, in occasione di un suo precedente viaggio in Italia, non fu ricevuto dall’allora premier Romano Prodi né da papa Benedetto XVI. Ricevette invece la cittadinanza onoraria di Torino, e due anni dopo quella di Roma.
F.M.R.
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