Gran Premio della giuria all’ultimo Festival di Cannes, Golden Globe come miglior film straniero e ora candidato all’Oscar, Il figlio di Saul di Lazlo Nemes, per essere un film con un budget assai ridotto e coraggiosamente ambientato in un campo di concentramento nazista, sta ottenendo un successo clamorosamente inaspettato, ma decisamente meritato. In questi giorni al cinema.
Il figlio di Saul è u film duro da digerire, forse anche più di molti altri che già hanno raccontato le asprezze della persecuzione ebraica durante la seconda guerra mondiale, ma ha uno stile drammaturgico particolarissimo e riesce non solo a indagare aspetti poco noti dell’olocausto ma anche tratti dell’animo umano particolarmente interessanti.
Lazlo Nemes, regista ungherese, riesce a dare forma estetica ad una serie di temi forti e profondi. Non solo la tragedia e l’orrore dei campi di concentramento sono al centro del film, ma anche la dignità dell’uomo, il valore della vita al di là della della mera sopravvivenza, la morte intesa, più che come fine, come ultima forma di riscatto e la speranza. La storia di Saul, interpretato da Géza Rohrig, attore, poeta e scrittore ungherese, perfetto in questo ruolo, è quasi ridotta all’essenziale. Il film è soprattutto il racconto di un’anima che, nell’orrore estremo dell’inferno di un lager, nell’arco di poche ore torna a vivere grazie ad un sottile alito di pietà, amore e speranza sollevato dalla vista della morte di un bambino.
Il figlio di Saul getta inoltre luce su una figura poco conosciuta dell’universo storico dei campi di concentramento nazisti, il Sonderkommando, ovvero gruppi di ebrei costretti dalle SS a collaborare attivamente nello sterminio degli altri prigionieri. I Sonderkommando erano impiegati nello smistamento dei condannati alle camere a gas, avevano il compito di ripulire le stesse camere dai cadaveri e dalle tracce di sangue tra un’esecuzione e l’altra, dovevano portare i “pezzi”, ovvero i corpi dei morti, ai forni crematori e infine occuparsi dello smaltimento delle ceneri. Un compito agghiacciante a cui questi uomini, scelti a caso, erano costretti per evitare la morte immediata. Tuttavia, sebbene vivessero in condizioni leggermente più favorevoli rispetto agli altri prigionieri del campo -potevano dormire in baracche riscaldate e accedere ad un pasto al giorno-, la loro aspettativa di sopravvivenza era limitata a poco più di 4 mesi, scaduti i quali venivano sterminati nelle stesse camere in cui lavoravano giornalmente proprio per evitare il rischio che conservassero e divulgassero la notizia delle atrocità troppo grandi di cui erano stati testimoni.
Saul sopravvive, fisicamente e moralmente, in questo ruolo in una sorta di torpore dell’anima che viene scosso solo dalla visione della morte di un ragazzo che potrebbe essere suo figlio. A questo punto nella sua coscienza matura uno scopo per cui lottare: offrire al ragazzo esequie decorose e una degna sepoltura. Un obiettivo folle e quasi insensato. “Tradisci i vivi per un morto?” gli chiede un compagno di prigionia, ma Saul riconosce in quell’ultimo atto estremo il valore profondo della dignità umana da salvaguardare anche in una realtà brutale e spietata come quella dei campi di concentramento. Il desiderio di rendere omaggio alla vita trapassata di un bambino gli infonde coraggio e speranza, una speranza che travalica i limiti imposti dall’orrore di cui l’uomo è capace.
Infine degno di nota è anche lo stile delle riprese. Le scene hanno un campo visivo assai ristretto, le sequenze di ripresa hanno tempi molto più lunghi del normale e la telecamera segue ogni inquadratura stando dietro le spalle del protagonista, in questo modo lo spettatore ha l’impressione di seguire in prima persona ogni movimento. Sebbene un tale genere di ripresa aumenti il senso di angoscia, le sensazioni vissute dal protagonista sono amplificate e lo sviluppo interiore degli eventi è reso con estrema chiarezza.
Vania Amitrano
Laureata in Lettere, amante dell’arte, dello spettacolo e delle scienze umane, autrice di testi di critica cinematografica e televisiva. Ha insegnato nella scuola pubblica e privata; da anni scrive ed esplora con passione le sconfinate possibilità della comunicazione nel web.
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