Un italiano su due tiene in casa un gatto. Ma non sempre comprende in pieno che cosa vuole dirgli. Perchè lecca il padrone? Che cosa vuole comunicare il gatto con la richiesta di carezze sulla testa? A queste e altre domande risponde un articolo su “Focus” di gennaio, dal titolo “Miaoo”. Ovvero il mondo visto con gli occhi del gatto. L’autore è John Bradshaw, biologo inglese, studioso da 25 anni del comportamento degli animali domestici e dei loro rapporti con l’uomo. Secondo il Rapporto Eurispes 2013, il 49, 7% degli italiani ha in casa un gatto. Ma lo conosciamo veramente il micione di casa? Ad esempio, perchè fa le fusa? Perchè è contento, pensano i padroni. Sì e no, puntualizza Bradshaw. Il gatto fa le fusa anche quando è affamato o ansioso. In sostanza, manda un segnale del tipo ‘Mettiti vicino a me!’. Le carezze, invece, equivalgono a un vero rituale. Molti gatti amano le carezze, a volte indicano perfino il punto esatto dove amano essere accarezzati. Il significato? Accettando di essere accarezzati, rafforzano il legame col padrone. Gli uomini attribuiscono ai gatti, secondo una ricerca dell’Università di Berkeley, una diversa personalità a seconda del colore. Gli arancioni sono più amichevoli, i tigrati intolleranti, i bianchi distaccati, i neri misteriosi. I gatti adulti hanno l’abitudine di leccarsi a vicenda. E’ un gesto che alimenta il rapporto fra di loro. E quando è rivolto all’uomo? La spiegazione, dice Bradshaw, è proprio che sta esprimendo u segnale affettivo, “perchè due gatti che non si piacciono non si leccano a vicenda”. E il miagolio? Raramente i felini miagolano senza uno scopo, vogliono attirare l’attenzione. Quindi, una volta constatato che il padrone risponde al miagolio, molti gatti sviluppano questa comunicazione potenziando gradualmente questo linguaggio che entrambi comprendono, non condiviso da altri umani o altri felini. Parole segrete. Un aspetto davvero sorprendente della comunicazione uomo-animale.
Eppure i gatti, nonostante tutto, mantengono qualcosa di insondabile e distaccato. La chiave sta nel Dna, dicono gli scienziati. L’avvicinamento all’uomo è avvenuto soltanto 10-15mila anni fa in Medio Oriente, fra gli Assiro-Babilonesi, con l’avvento dell’agricoltura. I campi erano infestati dai topi. I gatti selvatici arrivarono a caccia di topi per sfruttare la situazione, e venivano visti con favore per questo motivo dalla popolazione. Non si trattava dei gatti domestici di oggi, spiega Bradshaw, erano più simili a volpi e donnole, ma erano in grado di adattarsi all’ambiente urbano pur conservando una natura selvatica. Così, nel giro di migliaia di anni, il gatto è riuscito a insinuarsi nelle nostre case, conquistandosi uno spazio come animale di compagnia. Ma nonostante tutto, continua a pensare come un cacciatore selvatico.
Marcello Viaggio - Giornalista, ha esordito nel 1995 sulla rivista Italia Settimanale, con Marcello Veneziani. Dal 1998 al 2010 ha scritto sul quotidiano Il Giornale, con Andrea Pucci, oggi Vice-direttore del Tg5, e Claudio Pompei. Dal 2010 al 2011 ha scritto su Libero, in stretta collaborazione con il vicedirettore Franco Bechis. E’ stato opinionista fisso alla Tv della Libertà dell’on. Maria Vittoria Brambilla. Nell’agosto 2012 ha aperto sul web il portale NoiRoma2013.
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