Stanotte, la luna piena rischia di deludere chi si metterà naso all’aria a guardarla. Chi si dovesse sentire ingannato, però, potrebbe prendersela con gli inglesi. L’oggetto del contendere è la “luna blu”, un fenomeno che si verifica con una certa rarità: l’ultima volta era capitato a gennaio 2012.
A scanso di equivoci, diciamo subito che non è il caso di correre a spolverare la macchina fotografica buona: anche stanotte, la luna sarà dello stesso colore argentato di cui appare di solito.
Niente a che vedere, insomma, con la “luna rossa”, occasione nella quale il nostro satellite assume veramente tonalità che vanno dal marrone chiaro al ruggine. In quel caso, il fenomeno è dovuto alla rifrazione della luce del sole attraverso l’atmosfera terrestre, che notoriamente riflette il colore azzurro. Infatti, si verifica soltanto nelle immediate prossimità di un’eclissi di luna, cioè quando la luna – che altrimenti sarebbe in fase piena – passa all’ombra del nostro pianeta.
Ma allora, che cos’è la luna blu e perché la chiamiamo così?
Nella risposta c’è pochissima astronomia. In sintesi, si chiama “luna blu” il secondo plenilunio del mese, traducendo alla lettera un modo di dire inglese, blue moon. L’evenienza è piuttosto rara, perché il periodo di rivoluzione della luna è di circa 29 giorni e mezzo, appena uno o due giorni meno della durata media dei mesi in cui noi terrestri abbiamo ben pensato di suddividere l’anno. Non a caso, un altro modo di dire inglese – every once in a blue moon: letteralmente, “ogni luna blu” – indica il ricorrere di qualche evento che si verifica solo con estrema rarità.
La tradizione popolare vuole che all’origine del termine ci sia l’usanza, nei primi calendari a stampa, di indicare il secondo plenilunio del mese in inchiostro blu anziché nero. In realtà l’espressione è più antica – compare in un manoscritto del 1528 – e l’etimologia più probabile è un’altra.
La parola “blue” in inglese suona molto simile a belewe, termine caduto in disuso da secoli che vuol dire più o meno “ingannevole”. Il riferimento dovrebbe essere al fatto che, fino a qualche secolo fa, il modo più efficace per stabilire in che stagione dell’anno ci si trovasse – dato fondamentale per il lavoro dei contadini e per feste religiose mobili, come la Pasqua – era contare le fasi lunari: a ogni luna piena corrispondeva grosso modo un mese e così via. A lungo andare, quelle poche ore di sfasamento fra mesi lunari e solari si accumulavano, fino alla comparsa di una “ingannevole” luna supplementare che sconvolgeva i conti.
Dopo la diffusione dei calendari stampati, naturalmente, questo non ha impedito agli editori di segnare effettivamente in blu il secondo plenilunio del mese, il che probabilmente ha contribuito alla diffusione dell’altra spiegazione.
Cosa deve fare, allora, chi vuole fotografare una luna che sia in effetti azzurra? Tanto per cominciare, a volte, quando l’atmosfera è ricca di neve o ceneri vulcaniche in sospensione, il nostro satellite assume una tinta fra il celeste e il lilla. Ma perché questo accada, le microscopiche particelle devono essere della misura giusta: non più di 0,7 micron (meno di un millesimo di millimetro), cioè la lunghezza d’onda della luce rossa. Ad esempio, le cronache dell’epoca riportano che nei dintorni del vulcano Krakatoa, in Nuova Zelanda, la luna appariva bluastra ancora due anni dopo la colossale eruzione del 1883.
Un’alternativa più economica e rapida, anche se non sempre in buona fede, è applicare un filtro blu a una foto in bianco e nero. Paolo Volpini, dell’Unione astrofili italiani, avverte: “Attenzione alle bufale che spesso sulla rete spacciano per ‘luna blu’ immagini truccate al computer”. Consiglio sempre valido, ma che di tanto in tanto a qualcuno sfugge, comprese insospettabili testate di grande autorevolezza.
Filippo Maria Ragusa
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