E’ stato un vero successo di pubblico l’ ‘Amatriciana Day’, il giorno dedicato ad un classico della cucina italiana originario del paesino nella provincia di Rieti, organizzato nel sobborgo di Setagaya, a nord di Tokyo.
Oltre 50 chef nipponici esperti di gastronomia italiana hanno partecipato alla terza edizione all’iniziativa che ha fatto da apripista della ‘Settimana della cucina italiana’. L’evento ha visto una partecipazione di circa mille visitatori, con il duplice scopo di ‘assaporare’ la cultura gastronomica italiana e contribuire alla raccolta benefica per le popolazioni di Amatrice e dell’Hokkaido, due località che in periodi diversi sono state colpite dai disastri naturali.
“Ogni chef giapponese presente porta la propria specialità, non solo gli spaghetti alla amatriciana. In totale saranno 40-50 tipi di piatti, tutti regionali”, ha dichiarato all’agenzia Ansa Masakazu Ikeda, organizzatore dell’evento e scrittore di Lifestyle, da diversi anni residente in Italia.
“Il nostro scopo è semplice: tutti i proventi della giornata saranno donati, tramite l’Ambasciata d’Italia in Giappone, alle zone terremotate. Quindi più mangi spaghetti alla amatriciana e più doni”.
Culture e tradizioni in comune tra il nostro Paese e il Giappone – che il ‘Sistema Italia’ presente nel Paese del Sol Levante contribuisce ad amalgamare con estrema naturalezza in una nazione da sempre appassionata della nostra arte culinaria:
“Noi crediamo molto in questa iniziativa perché abbiamo l’obiettivo di diffondere sempre di più la conoscenza della nostra cucina e cerchiamo di avvicinare ancora più giapponesi alle nostre tradizioni culinarie”,
ha spiegato Tommaso D’Ercole, dell’Ufficio degli Affari Economici dell’Ambasciata d’Italia.
“Il fatto che siano presenti tanti bravissimi chef giapponesi quest’oggi, per noi è fonte di orgoglio e soddisfazione”.
Un progetto di cooperazione che punta sul cibo come tratto di unione tra due Paesi alla scoperta di una maggiore conoscenza e spirito di comunità, anche con l’organizzazione di una scuola di cucina italiana per i più giovani.
“Non sapevo cosa aspettarmi, pensavo giusto una padella e due spaghetti”, racconta Clorinda Paolucci, una giovane cittadina di Amatrice, invitata appositamente per l’evento. “E’ organizzata bene, si respira positività, e soprattutto ti trasmettono tanta voglia di rinascita”.
Il 24 agosto scorso si sono compiuti due anni da quel terremoto di magnitudo 6.0 che ad Amatrice fece pagare il tributo di grande in termini di vite umane: 235 su 300 morti, e la distruzione di gran parte degli edifici pubblici e privati, oltre a danni incalcolabili al patrimonio artistico. Ma Amatrice esattamente un anno dopo, agosto 2017, riprendeva vita attorno ai centri commerciali e all’area food. Anche se conserva per intero le ferite di una vecchia scuola che non esiste più se non i disegni delle mani dei bambini sul muro accanto al cancello, o della caserma dei carabinieri di cui è rimasta solo l’insegna. Quasi tutto l’intero lato sinistro di quello che era il paese, per chi arriva da Roma, è completamente spianato: dell’hotel Roma, considerato il ‘tempio’ dell’amatriciana, un dei simboli della cittadina, non c’è neanche più il basamento, al posto del convento delle suore hanno messo un enorme macchinario che tritura pietre e cemento, dove c’era l’ospedale c’è oggi un gran buco. Sul lato destro invece, dove c’è quel che resta della chiesa di San Francesco, qualche palazzo è ancora in piedi, ma è in calendario che verrà anch’esso spianato per il sindaco conta di aver spianato anche quello per dicembre.
Intatta è rimasta e rimarrà in eterno la sua fama per il sugo all’amatriciana, che ha reso impropriamente celebre la cucina romana nel mondo e con il quale si condiscono spaghetti, vermicelli o bucatini. Un sugo inventato dai pastori con quei pochi ingredienti che avevano con sé mentre sulle montagne seguivano le loro greggi al pascolo. Con guanciale, pecorino e spaghetti, nacque un piatto che veniva tradizionalmente chiamato “unto e cacio”. L’aggiunta di pomodoro e pochissimo olio d’oliva lo ha poi ingentilito, mentre la possibilità di diffondersi su scala nazionale, nell’Ottocento, è da attribuire ai molti amatriciani che emigrarono a Roma a causa della crisi della pastorizia e lì trovarono occupazione nel campo della ristorazione.
Alla conoscenza e all’apprezzamento della ricetta dell'”amatriciana” contribuì anche l’attore Aldo Fabrizi che ne parlò spesso durante le sue trasmissioni radiofoniche e televisive come anche dei suoi libri di ricette romane. Ancora oggi nei menù dei ristoranti si trovano le due ricette: la tradizionale detta comunemente anche gricia e quella con la salsa di pomodoro.
Giornalista per caso. Anni di ufficio stampa in pubbliche istituzioni, dove si legge e si scrive solo su precisi argomenti e seguendo ferree indicazioni. Poi, l'opportunità di iniziare veramente a scrivere. Di cosa? di tutto un po', convinta, e sempre di più, che informare correttamente è un servizio utile, in certi casi indispensabile.
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