L’esame attento della Polizia di buona parte delle telecamere di sorveglianza nel centro storico di Roma ha consentito di dare un volto all’assassino di Imen Chatbouri, l’ex atleta tunisina trovata morta sotto Ponte Sisto nella notte tra 1 e il 2 maggio. A gettarla giù dai muraglioni che costeggiano il Tevere sarebbe stato Stephan Iulian Catoi un rumeno di 26 anni, con precedenti per furto, che da sabato scorso è in carcere con l’accusa di omicidio.
La svolta nelle indagini è stata data, come dicevamo, dalle telecamere di sorveglianza le quali mostrano i diversi momenti della serata che Imen ha trascorso con Catoi. Nelle immagini si vede l’aggressore attraversare la strada, fermarsi alcuni istanti dietro ad un auto in sosta per poi dirigersi verso la vittima, appoggiata al parapetto del Lungotevere. Il video diffuso dalla Polizia non mostra gli ultimi istanti in cui l’ex altleta viene avvicinata alle spalle, presa per le caviglie e buttata giù. Ma secondo indiscrezioni trapelate negli ambienti degli inquirenti esisterebbe la parte video dove si vede l’assasino gettare giù la ragazza dal parapetto.
Ma, malgrado il taglio della scena madre ora in mano agli inquirenti, le immagini fornite alla stampa fanno vedere Catoi, che fugge prima e si dirige poi verso le scalette del Lungotevere dove si sarebbe avvicinato al corpo di Imen facendo sparire elementi che l’avrebbero potuto collegare all’omicidio, come il telefono cellulare. Nelle stesse immagini si vede sempre Catoi che colloca sotto la testa della ragazza un borsone. Secondo gli inquirenti, l’obiettivo dell’omicida sarebbe stato quello di far vedere a chi si fosse affacciato che la ragazza stesse dormendo.
Il giovane rumeno già arrestato si dichiara, però, innocente. Il Gip, invece, grazie agli elementi in suo possesso convalida l’arresto con l’accusa di omicidio premeditato. Un’accusa pesantissima che, in caso si rinvio a giudizio, potrebbe comportare per lui una condanna all’ergastolo. Alla base del delitto, comunque ci sarebbe un rifiuto della donna alle avances del giovane.
Questo caso conferma, ulteriormente, l’importanza dei sistemi di vigilanza elettronica. Infatti, in Italia, ci sono quasi due milioni di “testimoni oculari sordi”. Ci sono talmente tante telecamere sopra le nostre teste che trovarne una accesa sulla scena di un crimine o sulla via di fuga di chi quel crimine l’ha commesso non è più un caso fortuito. Anzi, nelle grandi città dove ogni cento metri si entra nel campo visivo di un obiettivo, è diventato ormai una certezza. Per gli agenti di polizia giungere sul luogo del reato e cercare la presenza di un obiettivo è divenuta ormai prassi investigativa. Una fonte qualificata della Digos dichiara infatti: “una telecamera di sorveglianza è asettica, offre particolari di una persona o di un delitto in maniera fredda e precisa in quanto indica l’ora e il minuto in cui il fatto avviene. Come dire: avere un testimone oculare che non si fa suggestionare”.
AGMC
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