“Gli immigrati regolari versano ogni anno 8 miliardi in contributi sociali e ne ricevono 3 in termini di pensioni e altre prestazioni sociali”. L’ha detto oggi Tito Boeri, il presidente dell’INPS, nella sua audizione davanti alla Commissione d’inchiesta sui migranti della Camera dei Deputati.
Le casse dell’INPS, quindi, ne guadagnano circa 5 miliardi l’anno. Denaro che serve a pagare le pensioni di tutti: anche quel miliardo l’anno che l’INPS eroga ai circa 370 mila pensionati residenti all’estero, allettati da regimi fiscali più favorevoli di quello italiano, spesso – in più di quattro casi su cinque – dopo aver versato contributi in Italia per meno di dieci anni.
“Proprio mentre aumenta tra la popolazione autoctona la percezione di un numero eccessivo di immigrati”, dice Boeri, “abbiamo sempre più bisogno di migranti che contribuiscano al finanziamento del nostro sistema di protezione sociale”. Parole che hanno fatto rizzare i capelli in testa a diversi politici di destra: Boeri “vive su Marte”, twitta Matteo Salvini, o semplicemente “ha detto una bugia”, come scrive Renato Brunetta (“Gli immigrati tolgono il lavoro ai giovani”). Parole, tuttavia, fondate sui freddi numeri raccolti dall’Istat.
Gli stranieri che arrivano in Italia sono per lo più giovani. L’80% dei permessi di soggiorno va a persone che non hanno ancora compiuto 35 anni, il 35% ne ha meno di 25 (vent’anni fa erano solo il 27,5%): prima di saltare lo steccato hanno davanti a sé decenni di lavoro e di contributi.
“Abbiamo calcolato – dice Boeri alla Commissione – che sin qui gli immigrati ci hanno regalato circa un punto di PIL di contributi sociali a fronte dei quali non sono state loro erogate delle pensioni”. “Contributi a fondo perduto”, continua, che ogni anno rimpolpano il bilancio dell’INPS per circa 300 milioni di euro.
Qualche giorno fa Boeri aveva detto che se l’Italia all’improvviso smettesse di concedere permessi di lavoro a tutti gli stranieri, entro il 2040 avrebbe perso circa 38 miliardi di euro. Il discorso, ovviamente, non riguarda chi lavora in nero. Eppure, quando lavoratori e aziende hanno avuto la chance di rimettersi in regola, i risultati sono stati incoraggianti: a distanza di cinque anni dalle due sanatorie del 2002 e del 2012, l’80% degli immigrati che avevano usufruito del condono pagavano ancora contributi all’INPS.
“Il confronto pubblico dovrebbe incentrarsi su come inserire gli immigrati stabilmente nel nostro mercato del lavoro regolare”, continua Boeri: questo “contribuirebbe anche a migliorare la percezione che gli italiani hanno degli immigrati”. E invece “Il nostro Paese ha chiuso molti canali di ingresso regolare nel mercato del lavoro, mentre sta attraendo un crescente numero di rifugiati ed immigrati irregolari”. E così chi arriva nel nostro Paese finisce spesso per lavorare in nero. Fra gli stranieri che lavorano nell’economia sommersa in Italia, uno su tre è clandestino.
Secondo Boeri, insomma, gli immigrati saranno ancora a lungo uno dei pilastri del sistema previdenziale italiano, e i governi dovrebbero prenderne atto. Anche perché il tasso di natalità non smette di scendere, nascono cioè sempre meno bambini. E per contrastare la tendenza, secondo il direttore dell’INPS, i provvedimenti una tantum servono a poco.
“Non sono i bonus temporanei a cambiare la propensione degli italiani a riprodursi”, dice Boeri. Sarebbero “auspicabili” misure più efficaci, ma “possono avere successo solo se percepite come durature”: in particolare dovrebbero “generare maggiore condivisione degli oneri per la cura dei figli”, alleggerendo il carico che ora grava soprattutto sui genitori, e spesso in particolare sulle madri. “In ogni caso – aggiunge Boeri – un aumento del numero di bambini italiani avrebbe effetto sul sistema pensionistico solo nel lungo periodo, perché sarebbe necessario aspettare che neonati raggiungono l’età per lavorare e per poter contribuire attivamente al sistema previdenziale”.
F.M.R.
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