“In Europa sono stati recentemente abbattuti dei muri, non abbiamo bisogno di costruirne di nuovi”.
La condanna della portavoce Nathalie Bertaud esprime lo sdegno delle istituzioni europee contro il muro che il primo ministro ungherese Viktor Orban e il ministro degli Esteri Peter Szijjarto hanno annunciato di voler costruire lungo tutti i 175 km del confine che separa il loro Stato dalla Serbia.
Il muro non è il primo del suo genere: per non uscire dai confini UE, ne esistono di simili fra Grecia, Bulgaria e Turchia, o sui confini che separano le enclavi spagnole di Ceuta e Melilla dal Marocco.
Come in tutti i casi precedenti, neanche la costruzione di questo muro sortirà l’effetto di ridurre le migrazioni: servirà piuttosto al premier di Budapest per attirare verso il suo partito Fidesz il voto di una parte dei simpatizzanti degli ultranazionalisti di Jobbik, che coltivano su larga scala i timori della popolazione nei confronti degli stranieri.
È però innegabile che dalla Serbia all’Ungheria l’immigrazione sia in pieno boom da almeno due anni a questa parte. Prima del 2013 a Budapest arrivavano poco più di duemila richieste d’asilo l’anno; nel 2014 sono state 43mila, e dal primo gennaio 2015 si è già superata quota 50mila.
A gonfiare i numeri sono le persone che scappano dalle nuove guerre mediorientali attraversando la Turchia e la penisola balcanica. Sono situazioni del tutto nuove, alle quali tuttavia l’Europa continua ostinatamente a voler contrapporre soluzioni vecchie.
Ad esempio, il rifiuto da parte del governo britannico a partecipare alla ridistribuzione dei richiedenti asilo, che pure interessa una frazione quasi insignificante del totale dei migranti, ripetuto ieri al presidente del Consiglio Matteo Renzi dal premier della vecchia Inghilterra David Cameron in visita all’Expo di Milano.
La sua presa di posizione è stata condannata anche dal Financial Times, mai stato un foglio rivoluzionario in più di centovent’anni di pubblicazioni.
Il quotidiano della City stamattina invitava calorosamente l’uomo di Downing Street ad accettare “una quota giusta” di profughi, e dava ragione su tutta la linea alle richieste di una politica comunitaria che non insista tutta sulle spalle italiane, avanzate da Renzi.
Cameron sostiene che le risorse che Londra già impiega siano più che sufficienti, e non ha alcuna intenzione di rinunciare alla clausola di esclusione che i suoi predecessori hanno strappato come condizione dell’ingresso nell’UE.
Si avvicina, intanto, la data del prossimo Consiglio Europeo, il vertice dei capi di Stato e di governo dei Paesi UE in programma il 25 e il 26 giugno.
Al tavolo di Bruxelles il piano di ridistribuzione dei migranti sarà uno degli argomenti più importanti. In vista dell’appuntamento l’attività dei ministri europei si è fatta frenetica, ma le posizioni sono ancora lontanissime: come ha ammesso il ministro degli Esteri tedesco Frank-Walter Steinmeier, “il lavoro da fare è ancora lungo”.
Assieme ai suoi omologhi, Paolo Gentiloni e il francese Laurent Fabius, Steinmeier ha firmato una lettera aperta al capo della diplomazia comunitaria, Federica Mogherini, per chiedere “una politica della migrazione esterna più attiva e inclusiva” richiamandosi a “un insieme più importante di principi e valori”.
Nel frattempo in Italia si prova a ricomporre la frattura istituzionale che ha opposto i governatori di tre regioni del nord al piano di ridistribuzione interna dei migranti. Assieme a una rappresentanza dell’ANCI, Roberto Maroni, Giovanni Toti e Luca Zaia hanno incontrato il ministro dell’Interno Angelino Alfano e nei prossimi giorni vedranno il premier Renzi.
Anche in questa circostanza, nonostante le affermazioni del presidente della Conferenza delle Regioni Sergio Chiamparino, secondo cui le regioni sono “pronte ad attuare il piano di accoglienza concordato con il Viminale e la posizione contraria di alcuni governatori è soltanto politica”, le distanze non sono state ancora colmate.
L’ANCI e il ministro Alfano, invece, hanno raggiunto un accordo di massima sul futuro dei campi nomadi. “Occorre smantellare i campi Rom”, aveva scritto il ministro in un tweet prima dell’incontro.
Come ha precisato alla fine dell’incontro il presidente ANCI, il sindaco di Torino Piero Fassino, i campi ora presenti nelle città dovranno essere superati da “soluzioni più civili”.
F.M.R.
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