Settantatremila le imprese chiuse, 17 mila non riapriranno. Non deve essere solo il numero di morti per covid ad impressionare – quasi 65mila a fronte di 1,800 mln di contagiati dei quali poco più di un milione guariti -.
A preoccupare sono anche i numeri che l’Istituto statistico italiano, l’Istat, ha fornito questa mattina: chiuso il 7,3% delle imprese, l’1,7% non prevede di riaprire. Tra giugno e ottobre si è registrato una riduzione di fatturato per oltre due terzi delle imprese (il 68,4%). E’ uno dei risultati del secondo report dell’Istat sulle imprese di fronte all’emergenza sanitaria. Il 32,4% (con il 21,1% di occupati), prosegue la nota, segnala rischi operativi e di sostenibilità della propria attività e il 37,5% ha richiesto il sostegno pubblico per liquidità e credito, ottenendolo nell’80% dei casi. La diffusione della vendita di beni o servizi mediante il proprio sito web è quasi raddoppiata, coinvolgendo il 17,4% delle imprese. Nonostante la crisi, il 25,8% delle imprese (che occupano il 36,1% degli addetti) è’ orientata ad adottare strategie di espansione produttiva.
I quattro quinti delle imprese oggetto di indagine (804 mila, pari al 78,9% del totale), precisa l’Istat, sono microimprese (con 3-9 addetti in organico), 189 mila (pari al 18,6%) appartengono al segmento delle piccole (10-49 addetti) mentre sono circa 22 mila quelle medie (50-249 addetti) e 3 mila le grandi (250 addetti e oltre) che insieme rappresentano il 2,6% del totale. Nel corso della rilevazione, il 68,9% delle imprese ha dichiarato di essere in piena attività, il 23,9% di essere parzialmente aperta – svolgendo la propria attività in condizioni limitate in termini di spazi, orari e accesso della clientela. Il 7,2% ha invece dichiarato di essere chiuso: si tratta di circa 73 mila imprese, che pesano per il 4% dell’occupazione. Di queste 55 mila prevedono di riaprire mentre 17 mila (pari all’1,7% delle imprese e allo 0,9% degli occupati) non prevedono una riapertura.
Dal report Istat emerge ancora che causa emergenza sanitaria tra giugno e ottobre si sono registrate riduzioni di fatturato per oltre due terzi delle imprese. Il 68,4% delle imprese (che rappresentano il 66,2% dell’occupazione), infatti, ha dichiarato una riduzione del fatturato nei mesi giugno-ottobre 2020 rispetto allo stesso periodo del 2019. Nella gran maggioranza dei casi (il 45,6%) questo si è ridotto tra il 10% e il 50%, mentre per il 13,6% si è più che dimezzato. Solo nel 9,2% dei casi il fatturato è diminuito meno del 10%. Rispetto a quanto rilevato per il bimestre marzo-aprile 2020, è stata confermata l’elevata incidenza di imprese con il valore delle vendite in flessione (erano il 70%) ma si riduce l’intensità: il 41,4% delle imprese aveva infatti riportato una riduzione del fatturato superiore al 50% rispetto agli stessi mesi del 2019, il 27,1% tra il 10 e il 50% e il 3% meno del 10%.
Quanto alle stime per il mese di dicembre e i primi due mesi del 2021, il 61,5% delle imprese ha previsto una contrazione del fatturato rispetto agli stessi mesi dell’anno precedente. Nel 40% dei casi il calo è previsto tra il 10 e il 50%, nel 15,1% di oltre il 50% e nel 6,4% di meno del 10%.
Secondo l’indagine dell’Istituto di Statistica, il 32,4% (con il 21,1% di occupati) segnala rischi operativi e di sostenibilità della propria attività, mentre il 37,5% ha richiesto il sostegno pubblico per liquidità e credito, ottenendolo nell’80% dei casi. La frequenza è più elevata per le imprese più piccole (39,2%) rispetto alle grandi (21,9%), le quali hanno utilizzato meno il canale bancario per fronteggiare la mancanza di liquidità. Una maggiore incidenza di richieste si registra nel settori più propensi ad accendere nuovo debito bancario: si tratta dei settori del commercio, trasporti e magazzinaggio, attività di alloggio e ristorazione, produzione di beni alimentari e di consumo.
L’85% delle unità produttive “chiuse” – complessivamente risultano non operative circa 72mila imprese che rappresentano il 4% dell’occupazione – sono microimprese e si concentrano nel settore dei servizi non commerciali (58 mila unità, pari al 12,5% del totale), in cui è elevata anche la quota di aziende parzialmente aperte (35,2%). Lo studio riporta come siano le attività sportive e di intrattenimento a presentare la più alta incidenza di chiusura, seguite dai servizi alberghieri e ricettivi e dalle case da gioco. Una quota significativa di imprese attualmente non operative si riscontra anche nel settore della ristorazione (circa 30 mila imprese di cui 5 mila non prevedono di riprendere) e in quello del commercio al dettaglio (7 mila imprese).
Il 28,3% degli esercizi al dettaglio chiusi non prevede di riaprire rispetto all’11,3% delle strutture ricettive, al 14,6% delle attività sportive e di intrattenimento e al 17,3% delle imprese di servizi di ristorazione non operative. Tra le imprese attualmente non operative, quelle presenti nel Mezzogiorno sono a maggior rischio di chiusura definitiva: il 31,9% delle imprese chiuse (pari a 6 mila unità) prevede di non riaprire, rispetto al 27,6% del Centro, al 23% del Nord-ovest e al 13,8% del Nord-est (24% in Italia).
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