Era la Messa delle ‘Ninette’, celebrata all’imbrunire, nell’edificio che guarda all’Ucciardone. Le ‘Ninette‘, un titolo che diverse donne, diventate comunità, applicano al proprio nome, come a sottolineare una sorta di nuova identità segnata dal dolore della lotta contro il cancro che le ha consumate e forgiate col fuoco della sofferenza e dell’amicizia, nel padiglione 17 del Civico di Palermo. Nel nome di Nina: lei, 34 anni, non ce l’ha fatta. Sono rimasti il senso di una identità e appartenenza comuni; l’idea via via più concreta di una associazione che si faccia carico di storie complicatissime, strappandole alla solitudine e alla burocrazia sanitaria, aiutando chi sta male nel percorso di cura, dalla diagnosi al dopo terapia; ed è rimasta Giulia, la figlia di Nina, allora due anni, oggi quattro, che le Ninette continuano ad andare a trovare e a portare a mare. Giulia, la vita che continua. “Proprio come canta Vasco Rossi”, spiega in chiesa Marika, una delle sopravvissute nella devastante lotta al cancro. “Sai che cosa penso – sono i versi diffusi tra le navate – che se non ha un senso, domani arriverà, domani arriverà lo stesso. Non basta mai il tempo. Domani è un altro giorno, arriverà”. Un domani, dice Marika, avvocato, che “anche se la malattia arriva, anche se perdiamo il senso della vita,arriverà lo stesso, perché la vita esige la vita”. Padre Antonio nella sua Omelia parla di Geremia, di questo profeta fragile e timoroso, cui toccò pronunciare parole forti e scomode anche a rischio della morte: “Ti faranno guerra, ma non ti vinceranno – era la promessa del Signore che Geremia doveva proclamare al suo popolo – perché io sono con te per salvarti”. La paura di morire, la sofferenza, la fede testarda nella vita: concetti che si sono rincorsi nella testa e nelle carne di questa platea speciale. “Senti che bel vento…”, sono le parole di Vasco che soccorrono ancora il loro cuore, insieme al senso di una solida e viscerale fraternità. Il Vangelo era quello della decapitazione di Giovanni: “Chiedimi quello che vuoi e te lo darò”, prometteva Erode alla figlia di Erodiade. “Cosa chiediamo noi alla vita e agli altri'”, è la domanda del sacerdote, “dobbiamo avere il coraggio di chiedere di impegnarci generosamente”, come queste donne di ogni età che nella sofferenza hanno scelto di mettersi in gioco, di utilizzare persino la loro esperienza dolorosa come una catapulta verso l’altro, perché nessuno resti solo nel proprio viaggio. “E noi per chi abbiamo scelto di impegnarci?”. Già, come abbiamo deciso noi di impegnarci? Vale la pena cercare dentro di sé ciascuno la propria risposta.