Per lui niente più obbligo di dimora. E’ di nuovo libero cittadino Pietro Genovese, figlio del regista Paolo, che nel dicembre del 2019 investì mortalmente due giovanissime ragazze su un attraversamento pedonale di Corso Francia regolato da semaforo. Nonostante la sentenza con rito abbreviato che lo ha condannato in appello a 5 anni e 4 mesi per omicidio stradale plurimo – ha pertanto ancora 3 anni e 7 mesi da scontare – la Corte di Roma ha revocato per lui l’obbligo di dimora al proprio domicilio dalle 22 alle 7 del mattino. Il giovane attende ora la decisione del Tribunale di sorveglianza sulle modalità che gli saranno riservate per il residuo della condanna.
Il sollievo che si prova in casa Genovese da qualche giorno, lascia necessariamente sbigottite le famiglie delle due studentesse, Gaia Von Freymann e Camilla Romagnoli uccise nella notte tra il 21 e il 22 dicembre di due anni fa dal Suv guidato da Pietro Genovese, allora appena ventenne.
Se la sentenza, divenuta definitiva nel dicembre 2020, ha permesso al ragazzo di lasciarsi alle spalle anche l’obbligo dei domiciliari e di bussare alla porta del tribunale del Riesame, che deciderà come fargli scontare quello che rimane dopo pochi giorni di carcere e un anno e mezzo di domiciliari, interrotti dal reo da un paio di sortite in cerca di diversivi e alleggeriti da vari permessi studio, chi la notte della tragedia ha perso tutto con la morte del bene più prezioso, la propria figlia, non può che provare sbigottimento e qualche perplessità davanti ad una decisione del genere.
Dal punto di vista legale niente da eccepire, anche se vale la pena ricordare le modalità del tragico incidente perché secondo quanto appurato dal Gup ”le vittime sulle strisce pedonali, nel tratto della terza corsia di sinistra di corso Francia, dopo che queste avevano iniziato l’attraversamento con il verde pedonale si erano fermate per aver notato alla loro sinistra provenire dal precedente semaforo ad alta velocità tre auto. Ma secondo il Gup Pietro Genovese che al momento dell’incidente era capace di intendere e volere, pur se con un tasso alcolemico superiore al consentito, avrebbe “effettuato una serie di sorpassi utilizzando al contempo un cellulare con cui mandava messaggi; superando il limite di velocità in ora notturna; iniziando un ultimo sorpasso di un’auto che aveva cominciato a frenare e, poi, si era fermata”.
Gaia e Camilla, amiche e compagne di scuola, la sera della tragedia avevano trascorso una serata con gli amici per festeggiare insieme l’inizio delle vacanze natalizie. Gaia era figlia unica di genitori separati, Camilla era la secondogenita di casa Romagnoli. Dopo la sentenza d’appello, la madre di una delle vittima aveva commentato: “Abbiamo sempre voluto la verità e quella è rimasta. La colpa è solo del ragazzo, l’entità della pena non ci interessa, riguarda la coscienza dei giudici“.
Ci auguriamo che la coscienza dei giudici cui ora spetterà pronunciarsi, anche questa volta li induca a valutare attentamente prima di concedere i benefici dei servizi sociali allargati al ragazzo che per grave superficialità ed imprudenza ha stroncato le giovani vite di Camilla e Gaia.
A.B.
Giornalista per caso. Anni di ufficio stampa in pubbliche istituzioni, dove si legge e si scrive solo su precisi argomenti e seguendo ferree indicazioni. Poi, l'opportunità di iniziare veramente a scrivere. Di cosa? di tutto un po', convinta, e sempre di più, che informare correttamente è un servizio utile, in certi casi indispensabile.
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