La cancelliera federale tedesca Angela Merkel proporrà al Bundestag di partecipare ai bombardamenti contro l’ISIS in Siria accanto all’aviazione francese. A riferirlo è la DPA, la principale agenzia di stampa tedesca. La sua proposta prevede di inviare in Medio Oriente da quattro a sei caccia, un aereo attrezzato per il rifornimento in volo e una nave incaricata di difendere la portaerei Charles de Gaulle.
Ieri, a Parigi, la Merkel aveva promesso di fare “tutto il possibile” per “trovare una soluzione permanente” alla questione del terrorismo di ispirazione islamica. Il presidente François Hollande aveva ringraziato pubblicamente la Cancelliera per aver deciso di inviare 650 soldati tedeschi in Mali, per “alleviare lo sforzo dei soldati francesi”. Nello Stato africano, Parigi mantiene un contingente dal 2012, quando ha aiutato le truppe governative a riprendere il controllo di gran parte del territorio nazionale, caduto in mano ai secessionisti tuareg che volevano stabilire nel nord del paese uno Stato fondato sulla shari’a.
Hollande, però, aveva anche auspicato che Berlino potesse “impegnarsi ancora di più contro l’ISIS in Siria e in Iraq, pur conoscendo le regole che esistono in Germania sugli interventi all’estero”.
La Cancelliera e le altre personalità del governo di Berlino non hanno commentato la decisione. Si è espresso invece Henning Otte, membro della commissione Difesa del Bundestag: “Non rinforzeremo solo la missione di addestramento nel nord dell’Iraq – ha detto – ma invieremo i nostri Tornado di ricognizione in Siria per la guerra contro l’ISIS”.
Da quando sono entrati in servizio gli Eurofighter Typhoon, dal 2004 in poi, i Tornado rimasti in attività nell’aeronautica tedesca sono solo gli 85 equipaggiati per la ricognizione e la soppressione delle difese aeree.
Anche il premier britannico David Cameron sta per presentare in Parlamento la proposta di nuovi raid contro i jihadisti, come aveva promesso giorni fa a Hollande. Stamattina il premier ha sottoposto il piano alla commissione Esteri della Camera dei Comuni, giocando la carta dell’interesse nazionale per cercare l’assenso degli indecisi. “La chiave in Siria è una soluzione politica”, riconosce Cameron, e nello specifico una soluzione che deve prevedere l’uscita di scena del presidente Bashar al-Assad. Ma “non si può attendere che questo accada prima di assumere un’azione militare”.
Cameron ha insistito sulla necessità di “non subappaltare la sicurezza nazionale”, e nega che la partecipazione ai bombardamenti possa fare del Regno Unito “un bersaglio più grande” di quanto già non sia. Ma sulla possibilità che il suo piano vada in porto è scettico Jeremy Corbyn, pacifista di lunghissima militanza, oggi nella doppia veste di leader istituzionale dell’opposizione e segretario del Partito laburista. Intervenire in Siria, sostiene Corbyn, può avere “conseguenze impreviste”, anche “alla luce dei risultati di altri interventi militari occidentali in anni recenti”. In Siria, oltretutto, la Gran Bretagna non ha alleati “credibili” e “affidabili” sul campo. Cameron rischia di ripetere lo smacco subito nel 2013, quando Westminster bocciò la sua proposta di bombardare le posizioni delle truppe fedeli ad Assad. Allora l’ISIS era ancora “soltanto” il ramo iracheno di al-Qaeda intervenuto a fianco dei confratelli nella guerra civile siriana: la conquista di Raqqa e l’autoproclamazione del “Califfato” sarebbero arrivate solo nei mesi successivi.
Intanto, in Siria, un’emittente panaraba ha annunciato l’arrivo di 50 ufficiali americani incaricati di aiutare i combattenti curdi che combattono contro i jihadisti nel nord del paese. Gli specialisti sono entrati dalla frontiera turca e si sono diretti a Qamishli e Kobane. Alcuni giorni fa il presidente Barack Obama aveva promesso di inviare in territorio siriano “alcune decine” di uomini, specificando che non si sarebbe trattato di truppe di terra e che non avrebbero partecipato “attivamente” ai combattimenti.
F.M.R.
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