Gli USA non sono riusciti ad arginare l’avanzata dell’ISIS. Dopo l’ammissione implicita del presidente Barack Obama nel discorso di lunedì, ieri lo ha ammesso esplicitamente il segretario alla Difesa Ash Carter: “La verità è che siamo in guerra”, ha detto il capo del Pentagono alla commissione Difesa del Congresso.
“Non abbiamo contenuto l’ISIS”, riconosce Carter, che cita a sostegno della sua tesi il capo di Stato maggiore USA Joseph Dunford.
Fra i dettagli strategici menzionati dal segretario alla Difesa figura un sostegno maggiore all’operazione dell’esercito iracheno per riprendere il controllo di Ramadi, città nel nord del paese conquistata dall’ISIS lo scorso maggio. Il dipartimento della Difesa USA sarebbe pronto a inviare in Iraq gli elicotteri d’assalto Apache e un nuovo contingente di consiglieri militari. Fuori discussione, invece, sarebbe l’invio di truppe di terra “significative”: il rischio – argomenta Carter – è di “americanizzare” il conflitto.
Per incrementare lo sforzo internazionale nella lotta ai jihadisti, il segretario alla Difesa ha spiegato di aver “contattato personalmente” quaranta stati. Uno di questi è la Russia, che ha invitato a “concentrarsi sulla parte giusta di questa guerra” anziché bombardare le forze di opposizione al regime di Bashar al-Assad impegnate anche contro il Califfato.
Oggi, però, il ministro degli Esteri di Mosca Sergej Lavrov ha raffreddato gli entusiasmi. “Finché il vice di Obama Joe Biden va in giro per l’Europa a raccomandarsi di mantenere le sanzioni contro di noi senza prendere in considerazione gli atteggiamenti del governo di Kiev nato su pressioni occidentali, non potremo trovare punti di intesa”, ha dichiarato Lavrov in un’intervista a La Repubblica prima di partire per Roma.
“In Siria, tra forze russe, americane e di alcuni paesi arabi moderati, c’è quanto basta per sconfiggere l’IS”, ma “finché prevarranno solo le richieste di mandar via Assad non si troverà un accordo. Le coalizioni diventano possibili solo quando si rinuncia a cercare vantaggi geopolitici unilaterali”.
Lavrov ha precisato i termini della battuta del presidente Vladimir Putin sulle armi nucleari: “Il Presidente conferma la nostra dottrina militare. Non le useremo, non ce n’è bisogno”. Ieri, durante un incontro con il ministro della Difesa Sergej Shoigu, Putin si era augurato di non dover armare di testate nucleari i missili Kalibr usati per i bombardamenti in Siria, ma aveva pur sempre fatto presente che si tratta di una possibilità, per quanto indesiderata.
Il ministro degli Esteri ha commentato anche la notizia circolata ieri sulla possibilità che l’autonominato califfo dell’ISIS, Abu Bakr al-Baghdadi, si sia rifugiato in Libia dopo essere stato ferito a Karbala, in Iraq. A dare la notizia era stata l’agenzia iraniana Fars, citando fonti libiche: il capo dell’organizzazione jihadista, dopo un delicato intervento chirurgico a Raqqa, sarebbe stato trasferito a Sirte, la più importante città libica in mano all’ISIS. Secondo al-Manar – la tv ufficiale di Hezbollah, il partito armato filo-iraniano del Libano – il sedicente califfo sarebbe passato per la Turchia con la complicità della CIA. Nessuna di queste affermazioni ha ricevuto alcuna conferma ufficiale, ma anche le smentite sono legate a fonti locali, che il Libya Herald definisce “affidabili”. A Sirte, sostengono queste ultime, si sarebbe tenuto in effetti un incontro fra personalità di spicco della galassia jihadista; ma Baghdadi non sarebbe stato presente, e in ogni caso i leader avrebbero abbandonato la città subito dopo gli attentati di Parigi, per paura di ritorsioni da parte dell’aeronautica francese.
“Non so dove sia al-Baghdadi, ma lì hanno attecchito cellule di ISIS, che come sappiamo vuole formare a Sirte una filiale di Raqqa”, ha detto Lavrov. “L’ISIS, con tutta la sua attività, deve dimostrare di essere un prodotto di successo”, suffragato da “prove che il califfato si sta espandendo”, il che – tanto più per l’Italia che per la Russia – rappresenta una “forte preoccupazione”. Mosca “capisce quanto sia importante per l’Italia il problema libico, sia per motivi geografici che storici”; Lavrov ricorda che “Putin e Renzi ne parlano da più di un anno in tutti i loro incontri”.
Domenica prossima, alla conferenza sulla Libia che si terrà a Roma, la Russia appoggerà la soluzione proposta dal nuovo mediatore ONU Martin Kobler – “anche se rischiosa” –: “Scavalcare i presidenti dei parlamenti di Tobruk e Tripoli, che si trovano su posizioni opposte”. Secondo Lavrov l’occasione è “importante”, ma non ci si deve aspettare che “risolva tutti i problemi”.
Filippo M. Ragusa
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