L’attentato di martedì scorso a Istanbul si poteva prevenire. Un dossier dei servizi segreti turchi includeva l’aeroporto Ataturk fra i siti a rischio terrorismo. Ma l’allarme è rimasto inascoltato per almeno tre settimane.
Il bilancio dell’attacco si aggrava ancora: ora i morti sono 42. Degli oltre cento feriti ancora in ospedale, 41 sono ricoverati in terapia intensiva.
La Turchia morde il freno per tornare alla normalità: l’aeroporto, il più grande del Paese, è stato riaperto stamattina, molto prima del previsto. Ma molti voli internazionali sono ancora sospesi e il clima nel Paese è pesante. Per evitare la diffusione di notizie da fonti indipendenti, il governo ha bloccato l’accesso ai social network fino a ieri sera. Ieri, nella giornata di lutto nazionale, circa 200 persone sono scese in strada a Istanbul per protestare contro le falle nella sicurezza che secondo loro hanno facilitato il compito ai terroristi.
In effetti, il commando è riuscito a entrare indisturbato in aeroporto nonostante la presenza di checkpoint di sicurezza con guardie armate e metal detector già all’ingresso nello scalo. All’inizio si pensava che uno dei tre uomini-bomba si fosse fatto esplodere all’ingresso per aprire un varco agli altri terroristi. Ma fonti del ministero dell’Interno, che hanno parlato con l’Associated Press a patto di rimanere anonime, hanno smentito la prima ricostruzione. Le prime due detonazioni sarebbero avvenute dentro l’aeroporto. Il terzo uomo, che intanto aspettava fuori, si sarebbe fatto esplodere qualche minuto dopo, tra la gente che si era accalcata intorno al varco provando a fuggire.
L’attentato non è stato ancora rivendicato, ma il governo turco e la CIA hanno puntato il dito contro l’ISIS. Oltre alla metodologia e al bersaglio, desta sospetti anche la data scelta per l’attacco, il secondo anniversario del discorso con cui Abu Bakr al-Baghdadi si è autoproclamato Califfo.
Secondo l’agenzia Anadolu, oggi a Istanbul sono state arrestate 13 persone, fra cui tre stranieri, ritenute implicate nell’attentato. Altri nove sono stati arrestati in una retata nelle prime ore di stamattina a Izmir, l’antica Smirne, sul mar Egeo.
Intanto l’esercito turco ha annunciato di aver ucciso sabato due siriani, ritenuti miliziani dell’ISIS, mentre cercavano di attraversare il confine. Uno dei due era già ricercato: gli inquirenti turchi sospettavano che avesse partecipato all’organizzazione di attentati sventati ad Adana, sulla costa sud, o nella capitale Ankara.
Il presidente Recep Tayyip Erdogan ha ricevuto telefonate di condoglianze da Barack Obama e Vladimir Putin. I capi di Stato di Russia e Turchia non si parlavano da sette mesi, da quando la contraerea turca aveva abbattuto un jet militare russo che aveva sconfinato dalla Siria. A sbloccare l’impasse è stata la lettera di scuse inviata la settimana scorsa da Erdogan. Messaggi di solidarietà sono arrivati anche dal governo israeliano, con cui la Turchia ha appena firmato un accordo di riconciliazione. Fra i due Stati – entrambi alleati storici degli USA, e in ottimi rapporti diplomatici fino a sei anni fa – era calato il gelo dopo l’incidente della Gaza Freedom Flotilla, che nel 2010 aveva tentato di forzare il blocco navale imposto da Israele sulla striscia di Gaza. Nello scontro fra le autorità israeliane e gli occupanti della nave Mavi Marmara – battente bandiera delle isole Comore, ma di proprietà di una società turca – erano morti dieci attivisti, nove turchi e un americano di origini turche.
F.M.R.
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