Il clima generale che si è registrato nelle famiglie italiane, obbligate alla convivenza familiare 24 ore su 24, è stato generalmente positivo. Un dato, quello rilevato dall’Istat, che non vale per tutti i nuclei: in un’indagine pubblicata il 13 maggio dall’Istituto il calo del 43% delle denunce di maltrattamenti veniva definito come un ‘falso positivo’ per il fatto che le vittime di abusi fossero costrette in casa con il familiare violento e per questo meno propense a parlare.
Solo l’8% ha utilizzato termini di significato negativo. Nel dettaglio, per descrivere il clima familiare, un cittadino su due ha spontaneamente scelto una delle seguenti parole: “buono” (14,4%), “sereno” (12,6%), “tranquillo” (10,4%), ottimo” (8,7%), “amorevole” (3,8%). Tra le parole di difficile classificazione, quella piu’ frequentemente utilizzata e’ “normale” (9,9% dei cittadini).
“Teso” è invece il termine negativo più usato, ma solo dallo 0,7% degli intervistati. La forte propensione all’interpretazione positiva della esperienza di lockdown è trasversale alle varie fasce di popolazione e all’area geografica. Tuttavia, a livello territoriale, nell’area che comprende tutte le altre regioni del Centronord la percentuale di parole positive è più bassa rispetto alle altre del Paese, pur restando fortemente maggioritaria (70%).
Lo scorso 13 maggio, in uno studio sulla violenza di genere ai tempi del Covid, sempre l’Istat ha rilevato che le denunce per maltrattamenti in famiglia sono diminuite del 43,6%, quelle per omicidi di donne del 33,5%, tra le quali risultano in calo dell’83,3% le denunce per omicidi femminili da parte del partner. La lettura, ha spiegato l’Istituto, è parziale e per avere un’analisi adeguata del fenomeno sarà necessario un periodo di riferimento più lungo.
Mettendo a confronto il periodo 1 marzo-16 aprile del 2019 e del 2020 si osserva un calo della quota di vittime che denunciano, dal 74,8% (947 casi) al 72,8% (1.466). Tuttavia, i motivi della mancata denuncia sono legati alle conseguenze negative che si possono generare nel contesto familiare (21,6%), alla paura generica (13,4%), alla paura della reazione del violento (10,9%), all’incertezza sul dopo (6,0%), alla poca fiducia nelle Forze dell’Ordine o perché queste ultime hanno sconsigliato di fare denuncia (3,3%). Tra le vittime, il 2,8% ha ritirato la denuncia e più di una su tre (il 40,4%) è tornata dal maltrattante.
A rafforzare la pericolosità della violenza vissuta in famiglia sono i racconti fatti dalle persone che si rivolgono al 1522, dai quali emerge che la casa è uno dei luoghi in cui più di frequente avviene la violenza: 93,4% dei casi nel 2020. Nella maggior parte dei casi la violenza non appare un episodio sporadico ma attiene a comportamenti reiterati nel tempo: il 74,6% dichiara che la violenza dura da anni (72,6% nello stesso periodo del 2019), il 18,6% afferma che dura da mesi.
Le vittime che concludono la telefonata confessano di vivere in uno stato di disagio: il 45,3% dichiara di avere paura di morire e per la propria incolumità. Secondo l’Istat, la percentuale di coloro che provano tale stato d’animo e’ aumentata di 5,4 punti percentuali nel periodo 1 marzo-16 aprile 2020, rispetto al 39,9% dello stesso periodo del 2019. Il 56% delle richieste di aiuto arriva da parte di vittime con figli e il 33,7% da parte di vittime con figli minori. Il 64,1% delle vittime con figli (cioè 722 persone) dichiara casi di violenza a cui hanno assistito minori e/o casi di violenza subita da minori.
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