A rischio povertà 1 su 4. Gli effetti della crisi economica in Italia sono molto pesanti, soprattutto al Sud. Se nel 2012 le persone in condizioni di povertà relativa erano 9,5 milioni, nel 2013 l’aumento ha superato abbondantemente il milione (16,6% della popolazione), le famiglie in 12,6%.
A renderlo noto è l’Istat nel rapporto “Noi Italia”. La povertà assoluta coinvolge il 7,9% delle famiglie, per un totale di circa 6 milioni di individui: un dato in forte crescita rispetto al 2012 quando erano 4,8 milioni. Il Mezzogiorno presenta una situazione particolarmente svantaggiata, con in media oltre un quarto di famiglie povere; per il Centro e il Nord l’incidenza è, viceversa, molto più contenuta (rispettivamente 7,5 e 6%).
Ma inclusione sociale e contrasto alla povertà assoluta non sono una priorità per il Parlamento italiano, sottolinea ActionAid in un rapporto realizzato in collaborazione con OpenPolis e diffuso in occasione della Giornata Mondiale per la Giustizia Sociale. Solo lo 0,8% degli atti parlamentari presentati nella corrente legislatura, infatti, affrontano il tema dell’inclusione sociale. Scoraggianti anche i numeri che riguardano i disegni di legge: solo il 6% tratta questo argomento, percentuale che scende al 2,8% se si prendono in considerazione unicamente quelli approvati. Nonostante le cifre allarmanti, l’Italia è priva di una misura nazionale contro la povertà, ed è l’unico Paese UE insieme alla Grecia a non aver adottato una qualche forma di reddito minimo garantito.
“Stupisce” – dichiara Marco de Ponte, segretario generale ActionAid Italia – “realizzare come i temi dell’inclusione sociale e della lotta alla povertà fossero così presenti nel dibattito elettorale in vista delle elezioni del 2013, e siano ora così assenti dall’agenda politica“. In particolare, secondo i dati della ricerca, l’attenzione al problema è ulteriormente diminuita a partire dall’insediamento del Governo Renzi, con l’inclusione sociale che scivola al 44esimo posto (a fronte di un 31esimo considerando l’intera legislatura) nella classifica degli argomenti al centro del dibattito parlamentare.
Nella Unione europea è invece a rischio povertà 1 individuo su 3: oltre all’Italia, i Paesi investiti in pieno dalla crisi sono il Portogallo, la Spagna, la Grecia, l’Irlanda, la Romania e Cipro. Lo evidenzia il rapporto di Caritas Europa sull’impatto della crisi. A fronte di un rischio di povertà o esclusione sociale del 24,5% nella Ue a 28, nei 7 Paesi è al 31% (28,4% in Italia, oltre 1 su 4).
In tema di povertà e di esclusione sociale, Caritas sottolinea “un’Europa due velocità”: alla fine del 2013 il 24,5% della popolazione europea (122,6 milioni di persone, un quarto del totale) era a rischio di povertà o esclusione sociale, 1,8 milioni in meno rispetto al 2012. Nei sette Paesi considerati più vulnerabili a seguito della crisi lo stesso fenomeno coinvolge il 31% della popolazione. L’Italia si posiziona su valori intermedi (28,4%), mentre il valore più elevato si registra in Romania (40,4%).
Dal 2012 al 2013 la povertà “assoluta” è diminuita di poco: dal 9,9 al 9,6% della popolazione nell’Ue a 28 Stati. Tra i Paesi deboli, il fenomeno è “allarmante” (14,9% nel 2013) – sottolinea il Rapporto della Caritas – con punte massime in Romania (28,5%) e in Grecia (20,3%). In Italia la “deprivazione materiale grave” colpisce il 12,4% della popolazione. Il numero di persone che vive in famiglie quasi totalmente prive di lavoro è aumentato in tutti i sette Paesi europei considerati dal Rapporto di Caritas: erano il 12,3% nel 2012 e sono diventate il 13,5% nel 2013.
Nonostante alcuni segnali di ripresa, “gli effetti della crisi appaiono ancora molto forti e persistenti”, sottolinea ancora Caritas Europa in un Rapporto nel quale rileva che nell’Unione a 28 sono più di 25 milioni i cittadini privi di lavoro (8,4 mln in più rispetto al dato pre-crisi del 2008). “Le persone più colpite – ricorda Caritas – sono quelle con bassi livelli di istruzione e i giovani. Aumenta la disoccupazione di lungo periodo”. Per l’Italia “triste primato” dei Neet, giovani che non studiano e non lavorano.
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