La ripresa c’è, ma non tocca tutti i cittadini. Questo sostanzialmente quello che emerge dal rapporto Bes, Benessere equo sostenibile, redatto dall’Istat.
L’analisi prende in considerazione ampi settori della società civile, e rappresenta una “linea di ricerca” la “multidimensionalità del benessere” e, grazie all’analisi di diversi indicatori “descrive l’insieme degli aspetti che concorrono alla qualità della vita dei cittadini”.
Uno strumento incisivo, che mette in relazione la produzione dei dati e le scelte rilevanti per il futuro del Paese, che l’Istat è intenzionato a migliorare ancora.
Lo stesso presidente dell’Istat, Giorgio Alleva, ha infatti sottolineato che, su tutto, si punterà all’”accrescimento della copertura informativa dei domini a livello locale ma anche il miglioramento della tempestività con cui sono rese disponibili le informazioni”. Per farlo, “giocheranno un ruolo chiave i censimenti permanenti, i processi di modernizzazione e integrazione di dati amministrativi e campionari e l’integrazione di nuove fonti di dati (come ad esempio i Big Data)”
“Sul piano dei contenuti – ha poi proseguito – una delle linee di approfondimento su cui l’Istat intende investire è il tema dell’equità, ovvero l’analisi della distribuzione delle determinanti del benessere tra i diversi soggetti sociali, con l’obiettivo di individuare aree di maggiore disagio e segmenti della popolazione più vulnerabili”.
Il rapporto analizza 12 domini – tra gli altri salute, istruzione, lavoro, benessere economico, relazioni sociali, politica, sicurezza – che forniscono un indice di benessere della popolazione.
E proprio la parte economica, forse, è quella che meglio rappresenta lo stato della ripresa di cui tanto si parla e a cui tanto si ambisce. Il dato che emerge è interessante: la situazione economica registra “una serie di segnali positivi che dalle regioni del Nord si diffondono al resto del Paese, riflettendosi sulla condizione delle famiglie, a partire da quelle più agiate fino a quelle condizionate da maggiori vincoli di bilancio”.
Aumentano, si legge nell’analisi, “il reddito disponibile (dello 0,7% nel 2013 e dello 0,1% nel 2014) e il potere d’acquisto; cresce la spesa per consumi finali, anche se in misura più limitata in conseguenza del lieve aumento della propensione al risparmio. Sempre meno famiglie mettono in atto strategie per il contenimento della spesa mentre è più elevata la quota di quelle che tornano a percepire come adeguate le proprie risorse economiche”
Significativo il fatto che il rischio di povertà e soprattutto la povertà assoluta “hanno smesso di aumentare (dal 4,4% del 2011 sale al 7,3% nel 2013, per riscendere al 6,8% nel 2014); mentre la grave deprivazione diminuisce per il secondo anno consecutivo, attestandosi sui livelli del 2011 (11,6% le persone in famiglie con grave deprivazione). In leggero miglioramento anche gli indicatori di natura soggettiva: la percentuale di persone in famiglie che arrivano a fine mese con grande difficoltà torna a scendere (17,9%) dopo aver raggiunto il valore massimo del decennio proprio nel 2013 (18,8%)”.
In controtendenza, invece, la quota di individui che vivono in famiglie dove “le persone tra i 18 e i 59 anni (esclusi gli studenti 18-24enni) hanno lavorato per meno del 20% del loro potenziale nell’anno precedente”.
Meno reddito pro capite al sud rispetto al nord e del centro e più accentuata anche la disuguaglianza reddituale: “il reddito posseduto dal 20% della popolazione con i redditi più alti è 6,7 volte quello posseduto dal 20% con i redditi più bassi mentre nel Nord il rapporto è di 4,6”.
Segali di ripresa anche nel settore del lavoro. La quota di persone tra i 20 e i 64 anni con una occupazione sale al 59,9%, anche se la crescita è più lenta di quella dell’Europa. E questo è un altro indicatore di come nel Paese la ripresa sia partita in sordina rispetto ad altri contesti.
Positiva anche la “diminuzione della percezione della paura di perdere l’occupazione e l’elevata soddisfazione per il proprio lavoro” una voce, quest’ultima, che “rimane stabile con quasi la metà degli occupati che si ritiene molto soddisfatta”.
Importante anche il segnale della diminuzione delle “differenze tra i tassi di occupazione delle donne con figli e senza figli, anche se, soprattutto per quante hanno basso titolo di studio e per le straniere, i problemi di conciliazione restano molto forti”.
La qualità del lavoro, invece, migliora solo per alcuni aspetti: “l’indicatore relativo alla permanenza in lavori instabili diminuisce leggermente – si legge ancora nel rapporto – mentre quello sulla permanenza in occupazioni poco remunerate è pressoché stabile – dal 10,4% del 2013 al 10,5% del 2014. Aumenta però la quota di occupati sovraistruiti – dal 21,9% del 2013 al 23% del 2014 – e in part time involontario – dall’11% del 2013 all’11,7% del 2014”.
Malgrado i segnali favorevoli della congiuntura economica, tuttavia “rimangono elevati gli storici divari che caratterizzano il mercato del lavoro italiano”: rimane il divario di genere, e anche la differenza nella qualità del lavoro per le donne “più spesso occupate nel terziario e in professioni a bassa specializzazione”.
Quello che gli italiani non mandano giù, invece, è la politica. Resta ancora elevata e trasversale “la sfiducia nei confronti di partiti (voto medio 2,4), Parlamento (voto medio 3,5), consigli regionali, provinciali e comunali (voto medio 3,7), e del sistema giudiziario (voto medio 4,2)”. Un mal di pancia che non conosce distinzione geografica, in quanto la sfiducia “riguarda tutte le zone del Paese senza apprezzabili variazioni di genere ed età. Le sole espressioni di fiducia dei cittadini che superano la sufficienza sono per i Vigili del fuoco e le Forze dell’ordine (voto medio 7), segno che i cittadini premiano coloro che mettono la protezione del bene comune prima ancora della propria incolumità”.
Resta, comunque, un ottimismo di fondo da parte degli italiani nei confronti del futuro. Il picco viene toccato dai giovani che si confermano “il segmento più ottimista” e presentano “il maggiore incremento positivo nonostante siano stati tra i soggetti sociali più colpiti dalla crisi”.
Ulteriori segnali positivi arrivano dall’aumento della soddisfazione per il tempo libero e per la situazione economica, che torna a crescere anche se resta sotto i livelli pre-crisi.
“Questi andamenti positivi – spiega l’Istat – non si traducono ancora in una crescita della soddisfazione complessiva per la propria vita: dopo il forte calo registrato tra il 2011 e il 2012, il benessere soggettivo si mantiene stabile nel 2013 e nel 2014. L’incertezza generata da una crisi lunga e intensa sembra rendere i cittadini ancora cauti, pur con una quota consistente di persone che valuta la soddisfazione per la propria vita molto elevata (35,4%)”.
La ripresa, dunque, arranca, è fragile, ma c’è. Soprattutto, è degno di menzione il cambio di passo nell’atteggiamento delle persone, che probabilmente sperano che il peggio sia ormai alle spalle e che le scelte del governo sostengano questa inversione di rotta. Anche perché, come detto più volte anche dalla Bce, il grosso del lavoro deve passare proprio dalle riforme dei singoli paesi. E su questo, non si può derogare.
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