Itticultura? Furono i romani ad inventarla. La conferma è arrivata in questi giorni da una serie di rilevazioni subacquee effettuate dalla Soprintendenza Archeologica del Lazio e dell’Etruria Meridionale che ha affidato al circolo subacqueo “L’uomo e il Mare” di Roma le ricerche archeologiche nell’area della Peschiera delle Guardiole, sita nei pressi della via Aurelia, di fronte agli scavi della colonia romana di Castrum Novum, nel comune di Santa Marinella.
Oggi le peschiere sono sommerse dal mare e visibili solo dal satellite o con la bassa marea. La prima è di forma rettangolare con un lato corto a forma di arco, la seconda è stata costruita su un precedente rudere di un porto, forse di epoca etrusca e comunque attinente alla fondazione di Castrum Novum nel III sec. a.C.. Alla peschiera composta di due vasche era congiunto un muro di larghezza tra 1.5-2m che serviva da piccolo molo per le imbarcazioni. Tutta la struttura aveva le dimensioni di 65x60m, mentre la peschiera più grande, divisa internamente in cinque vasche misura 35×18.6m. Considerando che è tutta in opus incertum e opus reticolatum è da ritenersi costruita nel I sec a.C.. Non è ancora chiaro se l’impianto per la produzione di pesce fosse relativo alla presenza di una villa marittima nei pressi o connesso ad attività commerciali all’interno della colonia romana. I romani costruirono lungo le coste del Mare Nostrum moltissimi impianti, come porti, stagni marittimi,peschiere.
I romani allevarono sicuramente murene, orate, anguille, triglie e persino lo scaro (pesce pappagallo) portato in enormi quantità dall’Oriente dall’ammiraglio Optano. Le cosiddette piscine di acqua salata erano perlopiù simboli di lusso da ostentare per le famiglie più facoltose. Erano costose da costruire, da mantenere e da gestire, Le ville litorali erano idonee per la presenza delle piscine, purtroppo molte di esse sono poco conosciute. Da ricordare che la presenza di una vasca in prossimità di una villa romana può essere interpretata in tanti modi, ma in certi casi (presenza di anfore), si è sicuri che fossero piscine di acqua salata. Gli stagni marittimi erano invece strutture più semplici e remunerative, usate per allevare e vendere il pesce nei mercati locali nonché per integrare la dieta con proteine nobili da parte dei piccoli possidenti. Gli stagni marittimi sorgevano infatti in aree marittime poco fertili, principalmente del Lazio, della Campania.
Durante il primo secolo avanti Cristo, nello scenario della completa conquista del Mediterraneo da parte dell’esercito di Augusto, dopo la conquista dell’Egitto, era inevitabile che il pesce diventasse l’alimento dei ricchi e di chi era in grado di permettersi lunghe permanenze nelle lussuose “villae maritimae” costruite lungo le coste del Tirreno. Si sa, inoltre, che un pasto a base di pesce divenne una frivola forma di prestigio sociale, uno status symbol seguito da molti membri del patriziato romano. Cosicché in quella prima epoca imperiale si iniziò ad allevare pesci di diverse specie in vasche nei pressi delle ville, in modo da impreziosire le mense dei ricchi romani.
Grazie all’allevamento essi potevano contare su buon pesce fresco, indipendentemente dalle condizioni del mare e dalle fortuna della pesca. Bisogna anche aggiungere che questa abitudine di seguire tutto il ciclo di allevamento del pesce era considerato un vero e proprio gioco, un diversivo dei ricchi per ingannare il tempo. Essi si adoperarono per assicurare ai pesci, grazie al sistema di vasche e di paratoie appositamente predisposte, di vivere in acqua marina continuamente ricambiata. Poi si provvedeva a ricreare l’ambiente marino ponendo piccoli scogli ricoperti di alghe ed anfratti ricavati nelle strutture in cementizio e zone coperte e ombrose per offrire ai pesci degli ampi rifugi e soprattutto per proteggerli dal calore estivo. Tutte queste accortezze derivavano dal fatto che la cucina romana era profondamente diversa dalla nostra. In assenza della carne bovina si utilizzava maiale, pecora, pollame e tanto tantissimo pesce.
Normalmente questi impianti di allevamento, che frequentemente sono visibili lungo le coste (in particolare lungo il litorale tirrenico, tra la Toscana e la Campania) e spesso in semiemersione, hanno una pianta quadrangolare, generalmente costruiti in muratura o scavati nelle rocce. Spesso l’edificazione avveniva ponendoli tra le ville e il mare e per assicurare il continuo riciclo dell’acqua venivano realizzati passaggi tra le mura perimetrali, le quali avevano anche l’importante funzione di smorzare l’impeto del moto ondoso. In alcune peschiere, come a Santa Marinella, si riscontra una struttura muraria ad arco di oltre 20 metri di diametro all’interno del bacino rettangolare, lungo 48 metri e largo 30. Il molo frangiflutti per proteggere l’impianto dal mare venne realizzato in opera cementizia, costituito da bracci ortogonali spessi circa tre metri.
Le vasche sono ancora per lo più ben conservate e rispettano le caratteristiche definite dal grande teorizzatore dell’itticoltura Columella nelle sue opere. Tutti i tipi di pesce mediterraneo erano allevati in queste peschiere, crostacei e ricci compresi, mentre vasche solitamente di forma curvilinea erano preparate per una vera e propria leccornia, le murene. Di sicuro i romani erano veramente pazzi per le murene ed un piatto di questi pesci arrivava a costare fino a diecimila sesterzi. Infatti le murene fecero la fortuna di alcuni commercianti romani: come avvenne per un certo Gaio Irrio, che fornì seimila murene per le cene trionfali di Cesare.
Altri grandi commercianti di pesce, forse dei liberti, derivarono il loro nome dai pesci messi in commercio: per esempio Licinio Murena e Sergio Orata. Sembra che nel periodo di massimo fulgore, i ricavati alimentari delle peschiere servissero anche per la produzione di quella salsa maleodorante tanto cara ai romani, basata sulle interiora dei pesci: il garum. Queste interiora venivano messe a macerare un paio di mesi in particolari vasche. La tecnica prevedeva anche un iniziale periodo di essiccazione sotto sale, e di seguito iniziava la lunga macerazione con l’aggiunta di pesci poco pregiati. Infine la salsa veniva allungata con acqua, oppure con vino, od olio. La fortuna del garum fu così totale, che non mancava mai sulle tavole dei romani, al punto che un noto archeologo americano lo definì il ketchup degli imperatori! Come abbiamo detto, nell’antica Roma non venivano allevati solo pesci. Plinio ci ricorda che Sergio Orata fu il primo a allevare le ostriche, inizialmente nella sua villa di Baia, poi per il successo che ne derivò sia dal punto di vista economico che da quello sociale, in molti altri tratti di costa del Mare Nostrum. Poi, intorno al quinto secolo, cominciò l’abbandono di tutte queste strutture produttive unitamente alle ville marittime e per le peschiere romane, onda dopo onda, cominciò l’oblio.
Giuseppe Fort
Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *
Salva il mio nome, email e sito web in questo browser per la prossima volta che commento.
Δ
Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.
© Copyright 2020 - Scelgo News - Direttore Vincenzo Cirillo - numero di registrazione n. 313 del 27-10-2011 | P.iva 14091371006 | Privacy Policy