Che cosa se ne dovrebbe fare lo Stato italiano di jihadisti, predicatori d’odio e simpatizzanti di al-Baghdadi? Secondo Roberto Calderoli, vicepresidente leghista del Senato, li potrebbe rinchiudere nel supercarcere dell’Asinara.
L’idea originale è di Donato Capece, segretario del Sindacato autonomo di polizia penitenziaria (Sappe), ed è stata rilanciata su Twitter dal presidente della Lombardia Roberto Maroni. “Condivido pienamente la proposta di Donato Capece”, ritwitta Calderoli. “Facciamolo per la nostra sicurezza nazionale, ma anche come deterrente per i potenziali jihadisti, in modo che sappiano cosa li aspetta in caso di cattura”. Già, cosa li aspetta? “Carcere duro e l’isolamento totale dal mondo esterno”, secondo il senatore. “Un paradiso terrestre”, ribatte l’ex presidente della Sardegna, Mauro Pili – all’epoca esponente di Forza Italia, oggi in una lista civica – per non parlare della possibilità che un carcere ad hoc per i jihadisti diventi un focolaio di propagazione delle ideologie più violente.
Per sfortuna dei suoi sostenitori, la tesi è impraticabile. Il supercarcere è stato chiuso dal 31 dicembre 1997 e tutto il territorio dell’isola è un parco nazionale dal 2002. Calderoli e Maroni dovrebbero ricordarlo: all’epoca erano l’uno senatore, l’altro ministro del Lavoro.
Sui loro tweet si è scatenato un coro unanime di proteste che uniscono le forze politiche. La proposta è “la solita battuta da osteria senza alcun tipo di supporto né tecnico né politico”, sostiene ancora Pili, “una provocazione mal riuscita” secondo il sindaco di Porto Torres, Sean Wheeler (M5S).
“Spiace sapere che anche Calderoli, alla pari di Renzi e altri, considerino la Sardegna una discarica di mafiosi e terroristi”, continua l’ex governatore. “La Sardegna non sarà la discarica di Renzi e tantomeno quella di Calderoli”.
“Si rassegnino una volta per tutte: l’Asinara non sarà mai più un carcere”, gli fa eco l’ex compagno di partito – e anche lui ex governatore – Ugo Cappellacci.
Quella dell’Asinara come sito per detenuti è una storia chiusa e la Sardegna ha già avviato un percorso orientato al turismo sostenibile.
Riaprire il carcere, secondo il senatore PD Silvio Lai, equivarrebbe a “rimandare indietro le lancette del tempo”.
È inaccettabile soprattutto per i cittadini di quel territorio che hanno lottato per decenni per chiudere quell’infausto luogo di detenzione.
Dalla proposta ha preso le distanze anche il coordinatore regionale sardo di Noi con Salvini, Daniele Caruso, che fa notare quanto sia distante il “paradiso” dell’Asinara dal concetto di “carcere duro”. Caruso a sua volta ha attaccato chi considera “la spedizione in Sardegna di rifiuti tossici o di delinquenti” come “un modo per tenere pulito il resto dell’Italia”.
L’isola dell’Asinara è stata demanializzata nel 1885, e i suoi abitanti trasferiti a Stintino, per costruire un lazzaretto e la colonia penale di Cala d’Oliva. Negli anni successivi ospitò migliaia di prigionieri della prima guerra mondiale, soldati dell’impero austro-ungarico, molti dei quali morirono in epidemie di tifo e colera.
La conversione in carcere di massima sicurezza risale al 1965: ospitò esponenti brigatisti e boss della criminalità organizzata come Totò Riina e Salvatore Cutolo. Nel 1985 i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino approfittarono delle sue misure estreme di sicurezza per scrivere in assoluto isolamento le conclusioni dell’istruttoria per il maxi-processo alla mafia. All’anno successivo risale l’unica evasione documentata: i detenuti Salvatore Duras e Matteo Boe si gettarono in mare e furono raccolti dalla compagna di quest’ultimo su un gommone preso a noleggio.
L’iter per la chiusura del carcere e l’istituzione del parco nazionale partì nel 1992. Ogni anno, secondo i dati citati da Wheeler, sull’isola passano circa novantamila visitatori, attirati dal ricchissimo patrimonio naturale e dalle iniziative di turismo sostenibile.
F.M.R.
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