Il sabato, giorno che il campionato ormai consacra agli anticipi, stavolta ha assolto ad un compito ulteriore: certificare il quarto scudetto consecutivo della Juve. Il primo di Allegri. Al suo primo tentativo. Come al suo primo tentativo era giunto al tricolore nella Milano rossonera. Andrea Pirlo, invece, è al quinto titolo di fila. Sempre un passo avanti a tutti, il Regista (la r maiuscola non è un refuso). In totale, fanno 31 scudetti per la società bianconera. Ufficiali. Sì, perchè sotto la Mole, quelli che non tifano granata dicono con fierezza 33 sul campo. Cosa che fa riscaldare e non poco quelli che a Milano tifano nerazzurro.
Al netto di queste beghe di cortile (e campanile), c’è da dire che questa Juve, comunque vada, al massimo potrà arrivare a quota 91 punti. Ben distante dalla mostruosa quota 102 toccata da Conte l’anno scorso. Allegri ha vinto il suo primo “titulo” in bianconero. I tre di Conte non saranno facili da replicare. Eppure il paragone tra i due, perchè tanto è sul raffronto tra i due mister che si sono appuntati i dibattiti più caldi tra quelli che tifano bianconero, regge. Eccome. La Juve di Allegri ha fatto subito molto bene in Europa, centrando un posto tra le prime quattro. E in quella che conta. Di converso, giusto dire che non era inserita in un girone particolarmente tosto. Dove, peraltro, è finita seconda. Ma non era impossibile neppure quello in cui la Juve di Conte si fece beffare nel fango-neve di Istanbul. E’ poi in finale di Coppa Italia, pienamente in corsa per un fantastico triplete (altra eventualità che infastidirebbe molto quelli che tifano nerazzurro). Quella di Conte, invece, aveva salutato la compagnia già ad altezza quarti di finale, sacrificando la meno nobile delle competizioni sull’altare del campionato, schierando con la Roma la versione 2. E i raffronti potrebbero continuare, più o meno, all’infinito con voci più favorevoli all’uno ed altre all’altro.
Noi ci limitiamo ad annotare che trattasi di due tecnici molto, ma molto diversi. A cominciare dal sistema di gioco, proseguendo con il metodo di allenamento, per finire con il rapporto con i media. Quasi antitetici. E proprio questo è stato il maggior merito di Allegri. Distante anni luce dal suo predecessore, è riuscito a non farlo rimpiangere (dimenticare no, molti di quelli che tifano bianconero non ci riuscirebbero neppure volendo), vincendo subito e cambiando sì, ma senza strappi eccessivi. Senza scossoni. Tanto, invece, era stato simile ad un movimento tellurico l’addio di Conte. Allegri, arrivato tra lo scetticismo universale, ha prima ripreso il 3-5-2 tanto caro al tecnico della nazionale e poi, piano piano, ha trovato il modo di innestare i germogli del suo 4-3-1-2. Un passaggio quasi indolore, e non privo di temporanee inversioni di marcia. Sul piano dell’interpretazione del gioco, poi, la sua Juve arremba meno, ma ragiona di più.
Alla fine, come quasi sempre, inutile star lì ad arrovellarsi per trovare un migliore: è e sarà sempre questione di gusti. Il che, visto dalla parte di Allegri, è già un successo enorme, dato l’ingombro del predecessore.
Quanto al campionato, l’atteso duello con la Roma c’è stato solo nel girone d’andata, o meglio fino ai primi di gennaio quando le due hanno marciato pressochè appaiate (solo il contestatissimo scontro diretto di Torino aveva scavato un piccolo solco, ma dopo la vittoria romanista ad Udine, c’era solo un punto tra le due), poi la “pareggite acuta” dei giallorossi ha favorito il solco. Sì perchè la Juve, può sembrare un paradosso, ha fatto il vuoto in classifica nel girone di ritorno pur facendo meno punti che in quello d’andata. Segno che i bianconeri sono stati sostanzialmente in linea con il proprio passo. Gli altri no. Il capitolo scudetto si è chiuso già a marzo con l’1-1 dell’Olimpico (ma la Roma era già in piena involuzione) che lasciava il distacco a 9 punti, poi diventati 11 con la vittoria sul Sassuolo propiziata dal bolide solitario di Pogba. La rimonta della Lazio ha poi proposto un’ulteriore e imprevisto match-scudetto bis, ma le giornate rimaste sul calendario erano già troppo poche per alimentare speranze altrui. A fugare i dubbi, tanto ci pensava la stessa Madama, imponendosi per 2-0 dopo mezzoretta di gioco.
Roma e Lazio, appunto. Nel duello rusticano per il secondo posto, ai giallorossi è riuscito il controsorpasso favorito dal franco successo per 2-0 sul Genoa nel lunch match ottenuto con due reti, per diversi motivi, non banali: una porta il secondo sigillo consecutivo dell’oggetto misterioso Doumbia, passato da recordman di fischi e lazzi incassati a salvatore della patria romanista in sole due gare, l’altro è una perla (non l’unica) di rara bellezza di Florenzi La Lazio, invece, brutta come si era vista solo a Cesena, soffre da matti il pressing di un’Atalanta che sembra…la Lazio e che mette più volte alle corde i biancocelesti (ottimo Marchetti, semplicemente superbo su rigore in movimento del “papu” Gomez). Per gli scatenati uomini dell’ex Reja, la rete porta la firma di un altro protagonista per tanti anni in biancoceleste, Biava, pronto a spedire nel sacco di testa su angolo, battendo sul tempo un Mauricio che, senza De Vrij, sembra un altro giocatore. Poi, il pareggio di Parolo al 78′. A quel punto, la Lazio avrebbe potuto anche raddoppiare. Ma sarebbe stato decisamente troppo.
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