Palo destro, palo sinistro, palla che rimane beffardamente in campo. Batti e ribatti in area, portiere che arriva su un piattone preciso ma non potente eppure la palla entra. Poco più di un batter di ciglia a separare le mani tra i capelli di Filip Djordjevic e l’esultanza sfrenata di Alessandro Matri. Una sliding door che manda in estasi la Juventus tenendo vive le possibilità di incamerare un triplete che da straordinaria trasformerebbe addirittura in leggendaria la stagione bianconera già nobilitata da un double (scudetto-Coppa Italia) che non le riusciva dall’era Lippi I (era il 1995). E va a penalizzare molte oltre i propri effettivi demeriti una Lazio che se l’è giocata alla pari in tutto.
Spettacolo sugli spalti
E’ andata in archivio così una finale di Coppa Italia bellissima per intensità ed equilibrio, molto meno per le emozioni (garantite più che altro da un pubblico accorso numerosissimo e molto corretto da ambo i lati) e le occasioni da gol, dispensate con il contagocce. Uno spettacolo per palati fini, insomma. E che avrebbe visto nella crudele lotteria dei rigori l’epilogo più giusto.
Partiva meglio l’inedita Lazio che Pioli schierava per la prima volta con una difesa a tre e con De Vrij e Gentiletti entrambi in campo (contrariamente alle indicazioni della vigilia che volevano almeno uno dei due centrali a riposo in vista del derby) e, dopo soli 4′, già trovava il vantaggio con Radu, bravo a svettare di testa su piazzato di Cataldi (alta novità: la Lazio non ha mai brillato particolarmente sulle giocate da palla inattiva e sulle traiettorie aeree), mentre Pirlo, in marcatura (altra anomalia), andava a vuoto. La gioia dell’Olimpico di fede biancoceleste durava, però, solo sei minuti perchè, al primo vero affondo, e sempre su piazzato, giungeva il pari in acrobazia di Chiellini su intelligente sponda aerea di Evra. Dieci minuti di gioco e già 1-1, propiziato da due difensori, peraltro i capitani. Un avvio scoppiettante che poteva far presagire una notte pirotecnica. Invece, da lì nasceva un’altra partita, molto tattica e bloccata con due squadre pronte ad aggredire ma sempre con un occhio all’equilibrio. Giocarsela sì, ma cum grano salis. La più osè, almeno nella prima frazione, era comunque la formazione di Pioli che sfiorava il vantaggio con uno dei rari lampi di Felipe Anderson, autore di un break nella propria metà campo e poi di un entusiasmante coast to coast culminato con una conclusione un pò strozzata di Cataldi, e poi con una conclusione di prima intenzione di Parolo, lesto ad approfittare di uno svarione di Pogba al limite dell’area. La Juve si faceva pericolosa solo con un’incursione di un Tèvez molto gregario ma per una volta poco stella su cui Berisha recapitava goffamente un pallone giocato improvvidamente con i piedi. Bravissimo, poi, l’estremo albanese a chiudere con un’uscita di testa su un’altra sortita bianconera.
Chiellini festeggia dopo il pareggio
Il vantaggio laziale con Radu
Nella ripresa, iniziava meglio la Juve ma Llorente e Pogba non erano precisi nella rifinitura. Comunque, non tanto da scardinare un equilibrio pressochè totale anche perchè Pirlo si limitava all’ordinaria amministrazione. La Lazio, quindi, prendeva coraggio e, dopo aver rifiatato, tornava a pressare altissima con un Candreva che azionava il terzo polmone (quello di riserva) per prodursi in scatti brucianti da ogni zona del campo. Peccato che i compagni non siano altrettanto brillanti nella corsa. Nella girandola delle sostituzioni sembra che a guadagnarci sia soprattutto la Lazio perchè Djordjevic è molto più mobile di un Klose mai in partita ma spreca un’occasione clamorosa a tu per tu con Storari e pochi pensano che il neoentrato Matri possa diventare l’ago della bilancia. Ma le avvisaglie c’erano. Era stato proprio della punta di scorta il gol che all’88’, poteva decretare la fine nei tempi regolamentari. Ma un offside millimetrico, veniva rilevato giusto in tempo per strozzare in gola la gioia juventina e per mandare tutti all’extra time. Per la prima volta dal 2009. Proprio la Lazio protagonista e vittoriosa dagli 11 metri sulla Samp.
Matri sta per battere un non impeccabile Berisha
I supplementari ruotano tutti attorno al non goal di Djordjevic e a quello di Matri. Dopo, due squadre sulle ginocchia in attesa del triplice fischio di un ottimo Orsato.
La Lazio ha pagato la consueta inconsistenza sulle fasce dove non dispone di vere ali brave a crossare (Basta, avanzato a centrocampo, è bravissimo ma il traversone dalla linea di fondo non è la specialità della casa) e di un attaccante d’area che vada dentro a fare il centroboa (Klose, ieri peraltro molto opaco, ormai si è convertito in un attaccante di manovra e Djordjevic deve ritrovare ritmo e fiducia dopo il lungo stop e non è detto, in ogni caso, che risponda perfettamente all’identikit appena delineato). Il tridente pesante, poi, ha funzionato solo in parte perchè a fronte di un Candreva stellare, Felipe Anderson ha confermato di essere in calo atletico e, forse, di non possedere quel fight spirit che certe occasioni richiedono. Certamente, e senza voler togliere nulla alla generosa prestazione di un ragazzo che sta crescendo a vista d’occhio come Cataldi, si è avvertita l’assenza di Biglia. L’argentino, con i suoi tocchi di prima, rimane il detonatore ideale per innescare i tre davanti. Resta, più in generale, l’impressione che la Lazio debba sempre giocare a mille per essere, oltre che bella, anche vincente.
Festa bianconera con la Coppa
Non ha di questi crucci, invece, la Juventus, squadra più statica ma anche più potente e meno dipendente dalle accelerazioni dei suoi singoli. Una macchina da guerra che non abbisogna di piacere e piacersi e che può colpire in mille modi diversi. Anche con i protagonisti più improbabili e inattesi. Letale su palla inattiva. Ieri anche un pizzico fortunata. Ma la fortuna, si sa, non volge il suo sguardo a caso…
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