Kiev brucia in un contesto di sostanziale indifferenza cui l’Occidente ha condannato aspirazioni e rivendicazioni del popolo ucraino. Il bilancio dei morti, cento solo oggi secondo fonti dei manifestanti, non rende l’idea del baratro in cui sta sprofondando l’Ucraina. La rivolta e le stragi di di questi giorni stanno portando l’ex paese comunista verso un abisso di violenza e odio. Mancano solo i carri armati nelle strade ma per il resto il verdetto è drammaticamente irreversibile: guerra civile, guerra tra fratelli di sangue e cittadinanza. La peggiore, la più devastante delle guerre. E a questo punto c’è da chiedersi dove possono portare i moti di piazza Maidan in assenza di spiragli di dialogo tra governo ed opposizione?
Il paese del presidente filorusso Viktor Yanukovich vuole l’Europa e cerca il dialogo con il vecchio continente, le sue regole, la sua libertà e l’economia di mercato. Senza condizionamenti o limiti di sorta. Gli ucraini non vogliono più mangiare panslavismo e temono l’abbraccio mortale della Russia di Putin così come hanno paura dell’asfissiante tutela dei prestiti e del gas ex sovietico a buon prezzo. Ed è proprio per questo che alla marcia indietro di Yanukovich su diritti, riforme e aperture verso l’Europa, la gente ha deciso di scendere nelle piazze gridando all’unione europea “aiutateci o è la fine”.
Ma all’accorato appello dei rivoltosi il governo ucraino ha risposto con i reparti speciali e con le armi da fuoco. L’Unione europea e gli Stati Uniti da parte loro hanno fatto anche peggio: non hanno potuto, ma sarebbe il caso di dire voluto, dare risposte concrete alla crisi, divisi al proprio interno da interessi e strategie politiche ed economiche tese a non disturbare o mettere in discussione accordi commerciali ed investimenti (soprattutto da parte tedesca e inglese) verso un Paese che ha un bisogno estremo di capitali e tecnologie per agganciare il treno dello sviluppo e della ripresa insieme al resto dell’Europa.
C’era il tempo per trattare. E’ da novembre dello scorso anno che la rivolta covava sotto la cenere di promesse e rinvii, di arresti di oppositori, minacce e lusinghe di un governo in bilico tra scelte autoritarie e caute aperture, tra timori di condizionamenti stranieri e richieste di un popolo in deficit di libertà. Adesso c’è solo da sperare che un’azione politica internazionale forte e responsabile, in grado di arginare la Russia di Putin, possa impedire il peggio evitando di aggravare il bilancio, già troppo pesante, di dolore e morte che si registra in queste ore.
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