Definire la storia di Massimiliano La Torre e Salvatore Girone i due marò che il governo ha deciso di riconsegnare all’India, una storia penosa e umiliante per loro e per tutto il Paese, è troppo riduttivo. Questa vicenda purtroppo segna l’uscita dell’Italia dal consesso delle nazioni serie, affidabili, credibili. Questa vicenda consegna al nostro Paese un triste primato: quello di nazione senza parola, senza dignità. Marchia l’Italia a fuoco su un tema, quello della onorabilità internazionale, sul quale, nessun paese del pianeta, anche il più piccolo, il più povero o il più sgangherato, è disposto a fare sconti. Questo assunto così semplice e così condiviso dalla comunità mondiale non sembra valere per chi, questo tragico pasticcio lo ha provocato esponendo l’Italia ad una miserabile figura politico diplomatica. Il governo nella persona del presidente del consiglio Monti e dei due ministri degli Esteri e della Difesa Terzi e Di Paola aveva il dovere di stroncare sul nascere l’avvitamento di fatti e ritorsioni che ci avrebbe portato ben presto in una situazione di indifendibile debolezza. L’arroganza del governo indiano che con noi aveva voluto creare il caso internazionale da portare all’attenzione del mondo, andava stroncato sul nascere. Ma così non è stato. Poi a caute quanto importanti aperture che archiviavano il dilettantismo italiano cui in verità avevano sempre fatto da contraltare, provocazioni ed isterismi da parte indiana, abbiamo risposto con una imperdonabile furbata: quella di lasciare che i marò in permesso potessero restare a casa. Per poi dire che la storia poteva finire li. Nessun genio a Palazzo Chigi, a cominciare da Monti, ha provato ad immaginare che un simile inaccettabile schiaffo avrebbe scatenato una reazione rabbiosa. E alla fine è stato sufficiente che l’India “bloccasse” ovvero tenesse in ostaggio l’ambasciatore Mancini per calare indecorosamente braghe già sporche.
Nella vicenda dei due marò servivano attributi introvabili a Palazzo Chigi. E c’è anche da chiedersi come avrebbe agito il governo di Delhi se ad incappare in un simile incidente fossero stati uomini in divisa degli Stati Uniti o di Sua Maestà britannica. Con le potenze vere, con nazioni che decidono le sorti del mondo e non guardano agli equilibri regionali o ignorano le operazioni di polizia internazionale come quella svolta dai nostri fucilieri di marina nell’Oceano indiano, le cose sarebbero andate diversamente. Ma per noi così non è stato e per colpa di incapaci malati di opportunismo e furbizia tutta italica oggi a finire nel tritacarne di un processo e di un giudizio internazionale che si preannunciano non certo sereni ed equanimi restano i nostri soldati. Gli unici, è bene ricordarlo, ad aver dimostrato coraggio e dignità in una storia che di serio ed eroico non ha proprio nulla. Un’ultima considerazione prima di chiudere. Nelle ore in cui i nostri marò venivano imbarcati su un aereo e abbandonati al loro destino, a romprere l’imbarazzante e vergognoso silenzio del governo arrivavano le dichiarazioni del ministro degli esteri Terzi che in un goffo quanto stupido tentativo di indorare la pillola di un autentico misfatto legale che grida vendetta, assicurava ai militari ( e di conseguenza agli italiani ) che nei loro confronti “non sarebbe stata applicata la pena di morte”. Un intervento da pedate nel sedere cui il ministro Terzi, a quanti chiedevano giustamente le sue dimissioni rispondeva con un vergognoso: “Non me ne vado”.
A noi non resta che augurarci che su quest’uomo e sul governo di cui fa parte cali al più presto il sipario di una indifferenza segnata dal ricordo ignominioso di una vicenda scaricata sulla pelle di due splendidi e disciplinati soldati che con il loro comportamento stanno riscattando la viltà e la dabbenaggine di chi doveva tutelarli e proteggerli per aver agito nell’interesse e per la vita di tutti noi italiani.
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