Icardi rispponde per le rime ai contestatori
Una Juve molto sotto tono e sotto ritmo non è riuscita ad approfittare dell’ennesimo passo falso della Roma (sabato al 4° pareggio consecutivo, bloccata da un combattivo Empoli all’Olimpico) e non è riuscita ad andare oltre lo 0-0 ad Udine, rischiando, peraltro, più del lecito soprattutto nei primi 45′. Il gioco poco brillante non è stato, almeno in quest’occasione (è in realtà da qualche tempo che la Vecchia Signora gioca così così), surrogato dalle abituali magie individuali: Pogba si è mosso molto ma non è riuscito ad incidere; Carlitos Tèvez è in evidente calo di condizione come testimoniato da due insoliti errori grossolani sotto la porta friulana. A completare il quadro, anche un pizzico di sorte avversa materializzatasi nella traversa di Pereyra, ex di turno. Ma se uno dei migliori in campo (dopo Allan Kardec, s’intende) è stato Gigi Buffon, autore di due parate salva-risultato, vuol dire che il risultato finale non fa una piega. Occasione ghiottissima di allungare a +9 sprecata in amalo modo dai campioni d’Italia, ringrazia la Roma: sarebbe stata la mazzata probabilmente decisiva ad un campionato iniziato all’insegna di un braccio di ferro permanente ed effettivo ma una delle due contendenti sta clamorosamente marcando il passo.
Tèvez e Juve molto dimessi ad Udine
Proprio la Roma, sabato sera, chiamata, tra le mura amiche (dove la vittoria manca dal 30 novembre, con l’unica eccezione della gara di Coppa Italia propria con l’Empoli), a riassaporare il gusto dei tre punti, non era riuscita a completare la rimonta contro un Empoli che avrebbe, a giochi fatti e al netto di un arbitraggio catastrofico (errori su ambo i fronti ma un possibile rigore non dato alla Roma non può controbilanciare un altro non concesso all’Empoli, un secondo giallo molto fiscale a Saponara, la mancata espulsione di un nervosissimo Pjanic, un giallo comico a Coda già in diffida e l’allontanamento del tecnico toscano, Sarri), ampiamente meritato i tre punti in palio. Invece, il consueto abulico approccio dei giallorossi ha prodotto il solito primo tempo imbarazzato e imbarazzante, salvo poi reagire nella ripresa con il pareggio di Maicòn e la traversa di Astori: francamente davvero troppo poco per meritare il ribaltone. Garcia si è appellato alla sfortuna: se il riferimento è ai soli infortuni (alla lunghissima lista, dopo la doccia gelata per Strootman, si è aggiunto anche Iturbe, out per un mese almeno) si può anche concordare (anche se quando sono sempre i muscoli a tradire, qualche pecca nella preparazione atletica deve pur esserci…), se l’allusione è anche alla prestazione, no. La Roma continua ad ottenere risultati ampiamente superiori a quanto (poco o nulla) mostrato in campo. E anche sul piano arbitrale, dopo Torino e a parte Torino, Garcia e i suoi hanno ben poco di cui lamentarsi. L’emergenza- indisponibili (acuita anche dall’infortunio di De Rossi, dall’assenza, causa Coppa d’Africa, di Gervinho e del neoacquisto Doumbia, e dalla squalifica di Manolas) è stata fronteggiata in modo tanto tempestivo, quanto discutibile dalla società: la Roma produce molto poco (tradotto, il centrocampo non offre sufficienti munizioni alle punte) e in mezzo non è arrivato nessuno, mentre davanti, dove da tempo si lamenta la cronica assenza di un centravanti d’area, si lascia andar via Mattia Destro e si punta sulla velocità pura di Doumbia ed Ibarbo, due punte esterne. Mah.
La gran botta di Defrel per il vantaggio cesenate
Ma se la sponda giallorossa del Tevere piange (e, per la prima volta in stagione, la seconda dopo l’immeritato successo con l’Empoli in Coppa, fischia i propri beniamini), quella biancoceleste non ride affatto. Anzi.
Cesena (ambiente galvanizzato dal successo esterno di Parma) si presentava come una trasferta molto più insidiosa di quanto non potesse sembrare all’apparenza, anche alla luce delle solite, copiose, assenze ( i lungodegenti Gentiletti, De Vrij, Djordjevic, Felipe Anderson, Lulic, Braafheid, Ederson, ma all’appello manca certamente qualcun altro) acuite dalle squalifiche di Radu e Biglia, ma una vittoria era d’obbligo per tenere il passo di un Napoli che continua a giocare maluccio ma vince e lo ha fatto anche al Bentegodi contro un Chievo che non avrebbe certo meritato la sconfitta.
La goffa e sfortunata autorete di Cataldi
Invece, sull’inguardabile terreno sintetico del Dino Manuzzi, è andato in scena il remake di Empoli-Lazio con tanto di maglia portasf… annessa. Una Lazio che ha tenuto palla per quasi tutto il primo tempo ma lo ha fatto in modo decisamente lento e prevedibile, cercando la porta di Leali solo con qualche lampo dalla distanza e Cesena pericoloso di rimessa, ma troppo modesto per approfittarne appieno. Secondo tempo, con la squadra di Pioli ancor più compassata, se possibile, e Cesena che, scrollatasi di dosso l’incredulità per cotanta pochezza, cominciava persino a credere nel colpaccio. Una delle classiche partite in cui una squadra, quella sulla carta più forte, fa la partita, ma male e l’altra, che rischia zero, puntuale ad approfittare di tanto ben di Dio. La rete capolavoro di Defrel (una botta da fuori di rara potenza e precisione che s’insacca sotto il sette con Marchetti incolpevole e che ha ricordato molto un’altra botta da tre punti subita dalla Lazio in Romagna, a firma Parolo…) è solo in parte frutto di un episodio: in realtà, la Lazio era già sparita da un pò e Marchetti aveva già dovuto salvare i suoi. Poi, il raddoppio, con grottesca carambola in rete dello sfortunato Cataldi, di fatto chiudeva la contesa. Ma è stato il copia incolla di Empoli, si diceva: infatti, ad una manciata di minuti dal termine (in Toscana ne rimanevano di più e nel primo tempo qualcosa davanti si era creato, queste le uniche differenza sostanziali), ecco l’illusoria rete di Klose ad accorciare le distanze. Ma il punteggio non sarebbe cambiato più. Giusto così.
Un’ultima considerazione, la merita quanto accaduto al termine di Sassuolo-Inter 3-1. Non è tanto la sconfitta roboante dei nerazzurri, abituati ad “usare” le sfide con i neroverdi alla stregua di tonificanti tisane, e neppure l’amara constatazione che, se si vuol credere nei giovani di casa nostra, qualcosa si può ancora ottenere (ha vinto la squadra che ha schierato, tra titolari e subentrati, un solo straniero contro quella che, sostituti compresi, aveva un solo italiano sul terreno…) ad assurgere agli onori delle cronache, quanto il penoso siparietto andato in scena dopo il fischio finale: ultras nerazzurri inferociti, giocatori sotto la curva a portar loro le maglie che vengono rispedite al mittente, Icardi in particolare che non la prende esattamente bene e rispedisce all’indirizzo dei suoi tifosi(?) indumento e insulti. Alcune considerazioni sparse: l’argentino ha certamente esagerato; ogni contestazione, se civile, è legittima, ma, francamente, prendersela con l’UNICO giocatore della rosa nerazzurra che stia offrendo un rendimento accettabile sa molto di autolesionismo “tafazziano”; ma soprattutto, ed è quello che nessuno dice: giusto salutare (e anche regalare maglie) a tifosi che si sono sobbarcati i costi di una trasferta, ma occorrerebbe fare dei distinguo: che siano tifosi. Veri. Non i soliti esagitati travisati da ultras davanti ai quali viene inscenata quella triste “processione” dei giocatori che ricorda molto da vicino ciò che avviene in contesti sociali decisamente “particolari”. Non si dimentichi lo “spettacolo” offerto dall’ultima finale di Coppa Italia e le parole pronunciate all’apertura dell’anno giudiziario. A certi personaggi, ferma la legittimità di una contestazione civile, nulla deve essere dovuto. Saluti e riverenze incluse.
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