L’esplosione del coronavirus quanto ha inciso sulle nostre vite e quanto anche sulla vita delle città? Il dibattito è aperto e chissà per quanto tempo ancora. Ma un primo bilancio dei pesanti impatti della pandemia, ad esempio, sul tessuto economico nell’ambito delle abitudini dei consumatori, delle modalità di acquisto e consumo è stato realizzato dall’Osservatorio della F.I.D.A., Federazione italiana dettaglianti dell’alimentazione aderente a Confcommercio, in collaborazione con Format Research, rilevando come i cittadini abbiano riscoperto i negozi di vicinato.
Quasi un’impresa su due (47,3%) ha segnalato infatti un aumento di nuovi clienti. La cautela negli spostamenti, il distanziamento sociale e le altre misure per arginare la pandemia, inducono i consumatori a comprare maggiormente vicino casa oppure online.
E le imprese si adeguano: il 40,7% ha iniziato a fare consegne a domicilio, il 32,2%, di quelle che già lo facevano, ha intensificato questo servizio e il 14,2% ha attivato servizi di asporto. Sul fronte digitale invece crescono le imprese che hanno avviato servizi che prima non offrivano, come la prenotazione spesa tramite email (per il 13,1%), tramite social network (per il 9%), il click & collect (per il 7,1%) e la vendita per mezzo di piattaforme online (per il 4,7%). Le imprese della distribuzione alimentare al dettaglio in Italia sono oltre 140mila, pari a circa il 4% del totale complessivo delle imprese, di cui il 60% “specializzate”.
Di fronte a questo cambio di paradigma anche la grande distrubuzione sembra muoversi nella direzione del “negozio di quartiere”, intensificando gli investimenti. Un caso è quello di Esselunga, che a giugno ha inaugurato il secondo store laEsse a Milano, una nuova proposta di negozio “di vicinato” per pasti rapidi e piccole spese. Ci prova anche Eni con il progetto “Eni Emporium”, che prevede l’integrazione di nuovi servizi in alcuni dei 600 Eni Café già presenti nelle Eni Station di tutta Italia.
Stazioni di servizio dunque che diventano anche negozi di vicinato. Forse è davvero presto per parlare di fine dei grandi centri commerciali, di crisi della grande distrubuzione, ma la crescita dell’e-commerce e la riscoperta della spesa vicino casa stanno comunque imponendo ai grandi gruppi di adattarsi, rimodellando le proprie strategie.
La tecnologia che ci ha facilitato nel periodo di lockdown evitandoci, con gli acquisti on line, uscite pericolose e interminabili file fuori dei supermercati, ci ha fatto praticamente scoprire che la distanza non è incolmabile. Questo vale anche in altri ambiti. Ad esempio, le immagini dei mesi scorsi, di città senza auto e silenziose, hanno fatto assaporare il fascino del ritmo di vita lento proprio dei borghi, degli agglomerati urbani meno grandi e convulsi, della campagna dove ci sono migliaia di casolari abbandonati. Se la voglia di normalità è tanta perché significa tornare a vivere, sappiamo che riprendere la vita di prima porta con sé molte disfunzioni che abbiamo sperimentato in questi mesi. Ad esempio, il traffico, gli ingorghi stradali, l’inquinamento, il nervosismo che generano i ritardi. Di qui l’idea di misure che ridisegnino le città come, ad esempio, ha fatto Milano con le decine di chilometri di piste percorribili da bici o monopattini.
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