Il pari di Brienza
Un bellissimo Cesena annulla il match point scudetto alla Juve ( e siamo al secondo sprecato dopo Udine, più che un campanello d’allarme dovrebbe suonare una sirena…), un orgoglioso e dignitoso Parma blocca sull’ennesimo pari la Roma, l’Empoli domina a S.Siro e rimonta un Milan sempre più in bambola. Se poi ci aggiungiamo la vittoria del Chievo su una Samp che proprio una grande non è ma che occupa stabilmente i piani alti della classifica e il partitone del Palermo contro il Napoli, una sorpresa molto relativa dal momento che i rosanero stanno giocando, in questo spicchio di stagione, il miglior calcio della serie A, il quadro è completo. E il mosaico che ne vien fuori suona come un beffardo sberleffo alle improvvide esternazioni di Claudio Lotito. Che merita un inciso, dopo la bufera scatenatasi venerdì: il personaggio è certamente sgradevole, rozzo e dai toni e modi da insopportabile padre-padrone le cui espressioni infelici fanno perfettamente il paio con quelle del suo sponsorizzato presidente Tavecchio (“Opti Poba”, ecc. ecc.), ma che, al di là dell’ambigua portata dell’affermazione circa il “se mi porti in A” questo o quello su cui la Procura federale avrà modo di approfondire (perchè deve essere chiaro a tutti che nello sport il risultato del campo è sovrano e non indirizzabile da alcuna cabina di regia), ha, nel merito, espresso un concetto che del tutto campato in aria non è: la bella favola del calcio di provincia non fa rima con il calcio business che, piaccia o meno (a noi molto poco), dei soldi dei diritti tv si alimenta e grazie alla vil pecunia vive o, meglio, sopravvive. E non è puramente casuale che le voci più critiche si siano alzate non dal pulpito di Maurizio Beretta (quello che, per dirla con un latinismo caro a Lotito, “decide zero”), bensì da quelli di Juve, Roma e Fiorentina. Non tre società qualunque, ma quelle più ostili all’elezione di Tavecchio e da tempo unite in una battaglia squisitamente politica che le vede contrapposte al fronte Galliani – Lotito – Preziosi. Solo interessi personali, quindi.
Tornando alle vicende del tanto invocato campo, stavolta di favole di provincia se ne sono realizzate più d’una e, fatto che più sorprende, tutte insieme. E proprio questa pagina di revanchismo delle piccole società non ha fatto stravolgere il copione che sembrava già scritto di questo campionato solo perchè gli stop imposti alle big hanno lasciato, nella sostanza, i distacchi tra le prime tre inalterati (solo il Napoli cede un punticino alla Roma).
La Roma è sulle ginocchia
Dopo l’anticipo-tonfo della squadra di Benitez, livellata in Sicilia dalle magie ad altissima velocità di Dybala, Vazquez e soci e riportata ad una dimensione più consona alle proprie possibilità di formazione incompleta che un filotto di quattro successi (non tutti limpidi) aveva esaltato oltre misura, è arrivato l’ennesimo pomeriggio-horror della Roma, versione casalinga. Squadra bolsa, prevedibile, che non gioca ma rumina calcio al rallentatore. Garcia ha tentato, invano, di rianimare il suo paziente inserendo, tra la sorpresa generale, entrambi i reduci dalla vittoriosa campagna d’Africa ma Gervinho è ancora in rodaggio e Doumbia, ancora (e logicamente) un corpo estraneo. Persino ingenerosi i fischi all’indirizzo dell’ex punta del Cska Mosca che, comunque, va detto per onestà, non ha toccato un pallone. Molto meglio, e ci sarebbe voluto veramente poco, la porzione di secondo tempo con il frizzante Daniele Verde, unico giallorosso in grado di saltare l’uomo e di aggiungere imprevedibilità ad un complesso che non riesce ad andare oltre alla solita messe di cross in mezzo, inevitabili prede della contraerea di turno. Più che le scelte discutibili degli uomini, stupisce, del tecnico francese, l’incapacità di dotare il proprio 11 di un gioco “alla mano” di rugbystica memoria, sport in cui i transalpini sono, peraltro, maestri riconosciuti. Lo 0-0 e la conseguente, ennesima, disapprovazione di un pubblico stanco di aspettare i tre punti all’Olimpico (e ora i giorni di digiuno casalingo sono diventati 77…) sono parsi inevitabili. E legittimi.
Non meglio, anzi la Juve che a Cesena poteva assestare il colpo del ko allungando ad un +9 il divario sulla più immediata inseguitrice. La squadra di Allegri, come ad Udine, inizia che peggio non si può: incapace di tenere palla anche in innocui appoggi in orizzontale, perde palloni in quantità industriale. Due volte ci mette una pezza il sempiterno Buffon, poi Djuric sfonda per il meritatissimo 1-0 dei locali. La reazione dei campioni d’Italia è veemente e conduce ad un rapido ribaltone nel giro di soli dieci minuti, grazie alle segnature di Morata (su magnifico assist di Pogba, unica perla in una serata altrimenti opaca) e di Marchisio (grazie ad una dormita dell’intera retroguardia romagnola). Poi la Juve sparisce di nuovo. Troppo poco per sperare di amministrare un vantaggio così esiguo e, puntuale, e giusto, arriva il 2-2 di Brienza nella ripresa. Il Cesena, commovente per impegno, intensità e anche trame di gioco (con un eccellente Djuric, interprete di un ruolo, quello di centroboa, che sembrava mandato in soffitta dai tanti falsi nove), meriterebbe anche il successo ma è la Juve ad avere l’occasionissima ad una manciata di minuti dal termine ma Vidal spedisce a lato il rigore che fa rima con tricolore. Pochi lo sottolineano ma la Juve non sta fisicamente meglio della Roma. La differenza, invero non trascurabile, è che i bianconeri fanno rispettare molto meglio il fattore campo.
Ad Udine, infine, una Lazio ancora convalescente sbanca il Friuli grazie al penalty realizzato da Candreva con un morbido cucchiaio. La squadra di Pioli, bravissima ad estraniarsi dalle polemiche del fine settimana, spreca l’inverosimile davanti ma ha il pregio di concedere relativamente poco dietro. L’Udinese gioca meglio all’inizio e nel segmento finale di gara ma non punge.Buono il rientro di Felipe Anderson che, però, sarà costretto a saltare la delicata sfida con il Palermo perchè squalificato. Il terzo posto del Napoli dista ora 5 lunghezze.
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