“Mangia, prega, ama”. E vivrai meglio e più a lungo. Non c’è solo il fortunato film (2010) interpretato dalla splendida Julia Roberts, basato sul libro autobiografico di Elizabeth Gilbert, ad affermarlo. Ma è un dato scientifico: la religione aiuta a vivere più a lungo.
Non conta tanto chi si prega, ma frequentare i luoghi di culto è la ricetta per una buona salute duratura nel tempo. Una ricerca pubblicata sulla rivista scientifica Plos dimostra che le persone che partecipano a funzioni religiose sono più protette dal rischio di morte per qualsiasi causa.
Come noto, condizioni sociali ed economiche hanno un impatto sulla salute. Per capire se anche le attività religiose potessero essere un valido predittore di mortalità, i ricercatori della Emory Rollins School of Public Health hanno reclutato 18.370 statunitensi di età pari o superiore ai 50 anni. I partecipanti allo studio sono stati intervistati nel 2004 e seguiti fino al 2014. Si è così scoperto che chi aveva frequentato funzioni religiose almeno una volta a settimana aveva un rischio di mortalità inferiore del 40% rispetto a chi non aveva mai partecipato. I frequentatori più assidui avevano infatti meno probabilità di fumare o bere alcolici, erano più propensi a effettuare screening sanitari e a fare attività fisica. Non c’erano invece differenze per il tipo di religione seguita. I dati sono stati depurati da fattori ‘confondenti’, in quanto anch’essi associati a un miglior livello di salute, come il reddito elevato e il genere femminile.
“La religiosità attiva è un marker che caratterizza una popolazione che ha minor rischio di morte, in virtù di un insieme di fattori protettivi, come migliori stili di vita e maggiore propensione alle relazioni sociali”, spiega all’agenzia di stampa ANSA Raffaele Antonelli, professore di professore di Medicina interna e geriatria presso l’Università Campus Biomedico di Roma e, dal primo gennaio 2018, presidente della Società Italiana di Geriatria e Gerontologia (Sigg). “Lo spirito religioso – prosegue – si associa in genere ad un’attitudine mentale positiva, che ‘protegge’ da malattie che si associano a personalità poco duttili, come ictus o colite ulcerosa. Ed è infine documentato che la religiosità protegge dalla depressione, notoriamente a sua volta associata a malattia e morte”.
Trova l’ikigai, il motivo di esistere, consigliano i giapponesi. Per stare bene serve uno scopo nella vita, qualcosa che ci faccia sentire in pace con il mondo e soprattutto utili. Che ci permetta di alzarci al mattino senza avvertire quella stanchezza che sembra stratificarsi giorno dopo giorno. Che ci faccia perseguire la meta anche quando raggiunta l’età della pensione rischiamo di sentirci sempre più inutili. Questo la fede lo fa rendendoci più chiaro il motivo vero della nostra esistenza, regalandoci speranza. Chi si trova in queste condizioni, confermano gli psicologi, hanno anche profili biologici, ormonali e anti-infiammatori più sani.
Insomma, se c’è una correlazione documentata a livello internazionale tra aspetti esistenziali, migliori condizioni di salute e di conseguenza longevità, la religione può diventare una buona ‘pratica’ per chi desideri aumentare le proprie speranze di vita.
Giornalista per caso. Anni di ufficio stampa in pubbliche istituzioni, dove si legge e si scrive solo su precisi argomenti e seguendo ferree indicazioni. Poi, l'opportunità di iniziare veramente a scrivere. Di cosa? di tutto un po', convinta, e sempre di più, che informare correttamente è un servizio utile, in certi casi indispensabile.
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