Per la prima volta da tempo immemore la serie A si è data appuntamento tutta nella stessa giornata, quella di sabato scorso, potenza delle festività pasquali. E non è stata una giornata qualunque:
-la Juventus, battendo con il minimo sforzo e al termine di una prestazione non tra le più memorabili di una comunque memorabile stagione, per 1-0 un coriaceo (ma ora seriamente a rischio retrocessione) Bologna grazie all’ennesima perla di un Pogba, sempre più oggetto del desiderio dei presidenti più “paperoni” d’Europa, ha raggiunto l’incredibile soglia dei 90 punti, inanellando la 17° vittoria in casa su altrettante partite nella roccaforte dello Stadium;
– una Roma mai doma e, se vogliamo, quasi commovente nel tentativo di mantenere aperta la lotta ad un titolo che qualunque umano considererebbe già assegnato, si mette alle spalle le polemiche sulla conferma della maxisqualifica di Destro, e va a sbancare, anch’essa per 1-0 il sempre difficile campo di Firenze. L’autore del gol-partita? Nainggolan. Anch’egli, suo malgrado, al centro delle attenzioni dei media negli ultimi giorni per il brutto episodio della lite particolarmente accesa con la consorte. Non c’era modo migliore per dimostrare che, per gravi che possano essere i problemi familiari, il “ninja” rimane sempre “sul pezzo”. Anche in questo caso, non si può parlare di una Roma scintillante, ma lo spessore dell’avversario era ben diverso da quello della pur volenterosa squadra petroniana. La Roma ha vinto d’intelligenza, sapendo aspettare, contenendo senza patemi le disordinate sfuriate viola e ripartendo sempre con i crismi della pericolosità. Il tutto facendo leva sui problemi strutturali di una formazione di casa che continua a risentire dell’assenza dei suoi diòscuri davanti, Gomez e Rossi. La Fiorentina non ha neppure giocato male ma la feroce applicazione difensiva dei giallorossi ha costretto i padroni di casa a ricorrere più del dovuto al tiro da fuori, quasi arma della disperazione, vista l’impenetrabilità della difesa di una Roma stavolta interamente “made in Brazil” (Maicon, Toloi, Castan, Dodò). Inedita, viste le assenze, ma efficacissima. La partita, insomma, che voleva Garcia. E che non varrà lo scudetto (ormai manca troppo poco) ma è servita a raggiungere la matematica certezza del 2° posto e con essa la qualificazione diretta ai gironi di Champions dell’anno venturo. I preliminari saranno un problema del Napoli, dunque.
Ora comincerà la pianificazione del doppio impegno della stagione 2014/15 che dovrà vedere necessariamente l’attuale tecnico (pur corteggiato dalle sirene di Psg e Arsenal) al centro del “villaggio giallorosso”. Impensabile farne a meno.
– Sull’altra sponda del Tevere, invece, le cose vanno benino, sarebbero dovute andare meglio, avrebbero potuto andar peggio. Di tutto e di più quanto accaduto all’Olimpico in un autentico spareggio-Europa con il Torino. Nel consueto deserto dell’impianto romano, la Lazio ha offerto una prova di grande generosità, spingendo sempre contro un’avversario costantemente dietro la linea della palla. Ha chiuso avanti il primo tempo con una rete di un altro protagonista amaro delle cronache delle ultime ore, Stefano Mauri, costretto a replicare alle dichiarazioni sconcertanti di un Meggiorini che, evidentemente, altro da fare non aveva, è stata raggiunta ad inizio ripresa da Kurtic, causa sonnolenza el reparto difensivo, ha trovato la forza di ricominciare e il rigore del secondo vantaggio, ottenuto da un Keita magari un po’ anarcoide e lezioso in certe giocate, ma sempre in grado di creare qualcosa anche quando attorno c’è il nulla e trasformato da Candreva, sempre infallibile dagli 11 metri. Poi il buio. Soprattutto, per colpa di una difesa che, a parte il sempiterno Biava, è ritornata il colabrodo dell’ultimo Petkovic. Facile, contro un quartetto così in ambasce persino per l’ex oggetto misterioso dell’ultima Roma zemaniana, Tachtsidis, trovare il 2-2. Figuriamoci per Ciro Immobile, 20° centro in campionato e sempre più leader solitario della classifica cannonieri. Un gioco da ragazzi, per uno così, aggiustare la mira e fulminare Berisha per un 2-3 che, vista anche l’espulsione del solito, macchinoso e inadeguato Novaretti, sapeva di sentenza. Ma non è stato così. Nonostante la cervellotica decisione di Reja di chiamare fuori Keita per Pereirinha e dopo essersi tolto lo sfizio di provare (?) anche Postiga. Ecco, una partita di tale importanza non sembra proprio essere il teatro ideale per sperimentare. Malgrado tutto, è andata bene. Un tiro sbilenco di un altro subentrato, il sempre più enigmatico Felipe Anderson, si è trasformato in assist prezioso per Candreva, al solito glaciale di fronte a Padelli, complice una dormita di Darmian che non saliva, per il 3-3 al 95’.
Un pareggio che non accontenta nessuno, ma, calendario alla mano, potrebbe ancora consentire al Toro di ambire all’agognato 6° e ultimo posto utile per l’Europa League. Per la Lazio, vista anche l’impetuosa risalita del Milan, resta solo una flebile speranza. Ma sarebbe importante, a questo punto, anche non chiudere sotto l’8° piazza, onde evitare due turni in più e l’eventuale svantaggio del fattore campo avverso in ottavi e quarti di finale della prossima Coppa Italia.
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