Gervinho, il mattatore di Roma-Cska 5-1
Tre anni e mezzo erano trascorsi dall’ultima recita giallorossa in Champions (costata l’eliminazione con lo Shakhtar e l’espulsione con squalifica per De Rossi autore di una brutta gomitata a Srna), e la febbre dell’Olimpico e di tutta la tifoseria per il ritorno nella massima competizione europea era salita a livelli di guardia già da giorni in città. Per alcuni imbecilli anche oltre tale soglia, a giudicare dai due accoltellamenti di tifosi russi.
Tanta spasmodica attesa è stata ripagata appieno da una prestazione superlativa di una Roma che, con il 5-1 al Cska, ha voluto lanciare un chiaro segnale alle due corazzate impegnate contestualmente nello scontro tra titani che andava in scena all’Allianz Arena: la Roma c’è e non si accontenterà di fare da semplice mina vagante del Gruppo E.
La gioia rabbiosa di Iturbe dopo l’1-0
Un risultato che non riflette neppure così fedelmente quanto visto in campo: la Roma ha dilapidato un quantitativo considerevole di palle-gol e, soprattutto, ha creato crismi di costante pericolosità ad ogni tentativo di affondo. Solo qualche leggerezza di troppo ha negato, davanti ad un pubblico già in festa dopo soli 10′, un punteggio tennistico (ma da tie break). Iturbe, innescato da un meraviglioso filtrante di Gervinho, eludeva l’off side e, presentatosi solo davanti ad Akinfeev, lo superava in assoluta scioltezza. Il tempo di rimettere il pallone in gioco e il tourbillon romanista riprendeva incessante con una palla rubata sulla propria trequarti da un eccellente Pjanic che avviava un contropiede fulmineo, la palla perveniva ad Iturbe, allargatosi sulla destra, che rendeva la cortesia al compahno di squadra, servendo a Gervinho un babà in piena area che l’ivoriano, controllato solo con lo sguardo dai pachidermici centrali russi, aveva il tempo di stoppare, cincischiare un pò per aggiustarsi la palla (ma avrebbe potuto anche sorseggiare un caffè) e fiondare in porta il più comodo dei 2-0.
La partita era già indirizzata ma, siccome il calcio è strano e imprevedibile e ancor più insondabile è l’animo leggero di chi si sente già in paradiso, il Cska poteva riaprire il match in virtù di due fesserie in serie: la prima di Iturbe che non chiudeva una diagonale e poi quella di Maicòn che opponeva una resistenza davvero blanda che spianavano la strada alla cavalcata solitaria di Doumbia che non diventava trionfale solo perchè, giunto a tu per tu, con De Sanctis si emozionava un pò o, più prosaicamente, s’incaponiva nel tentare la soluzione più ad effetto con la palla tra le gambe dell’estremo giallorosso che, però, non abboccava minimamente. Del resto, se l’attaccante ivoriano del Cska non è stato neppure convocato in Brasile un motivo ci sarà stato. Questo potrebbe essere uno. Subito dopo, il 3-0 giunto a seguito di una dormita difensiva generale dei moscoviti che lasciano solo Iturbe costringendo Akinfeev ad un’improvvida passeggiata fuori dall’area prima di ciabattare a la to. Già così sarebbe brutto, qualche secondo dopo sarebbe diventato grottesco con Maicòn, innescato direttamente dalla rimessa laterale, che avanza indisturbato e, non avendo particolari opzioni (o, forse, rammentando le “prodezze” di Akinfeev al Mondiale brasiliano così come il suo gol alla Corea del Nord a Sudafrica2010 da posizione ancor più defilata) decide di sparare un siluro sul primo palo che, di per sè, non sarebbe neppure un’idea così brillante: il tiro, però, è violento e, soprattutto, le mani del portiere di pastafrolla: il match, se mai è iniziato, finisce qui. Quindi, Totti, limitatosi a giocare al piccolissimo trotto e lontano da gomiti e stinchi nell’area russa, decide di impugnare il pennello e dipinge un assist di prima da distanza chilometrica, trovando, dopo averlo appena intravisto con la coda dell’occhio, la frecciarossa Gervinho: sprint , consueto panico di Nababkin (sarebbe il suo controllore, lo fermerà solo a fine gara per chiedergli la maglia) e compagni, frenata e tiro per il 4-0. La ripresa si apre così come era terminato il primo tempo: Roma che pigia senza neppure particolare cattiveria e difesa del Cska che si apre come davanti a Mosè, commettendo una quantità imbarazzante di errori, di piazzamento e individuali: dopo il fuorigioco saltato su Iturbe, le mani molli del portiere, ecco, quindi, la più classica delle perle, l‘autorete di Ignashevich, preoccupatissimo del tentativo di zuccata di Florenzi (entrato al posto di Iturbe infortunato, con quello di Astori le uniche tegole per Garcia), sintomatica dello stato confusionale e del terrore che attanaglia i moscoviti. Il cross di Torosidis era ottimo, per carità, ma il centrale russo è entrato chiaramente nel panico. Stato d’animo che deve aver pervaso anche Capello in tribuna: dovrebbe guidare la nazionale russa ai Mondiali casalinghi del 2018 con questi qui?
Maicòn, dopo il suo 3-0, non riesce a credere a tanta grazia
A quel punto, la partita si trasforma in pura accademia per i giocatori in giallorosso, preoccupati solo di non interrompere i fraseggi sul cui sfondo echeggiano gli olè del pubblico e il Cska, annichilito e irriso, capisce che, forse, è l’ora per provare almeno a mostrare che si può anche perdere ma lo si dovrebbe fare con un pò di dgnità ed orgoglio. I tentatvi di avvicinare l’area romanista s’intensificano, gli ingressi (tardivi) di Panchenko ed Efremov portano quel pò di vivacità che, durante la grandinata, aveva provato a dare il solo Eremenko. Arrivano, così, la rete di Musa e quella, non vista (ma al replay è chiaro che la palla fosse rimbalzata completamente oltre la riga per cui diventa lecito il quesito: a cosa serve il giudice di porta senza tecnologia?), di Milanov.
Quanto al Cska, e meno male che la squadra moscovita doveva essere in netto vantaggio come condizione fisica avendo alle spalle già sette turni di campionato russo a fronte delle due sole partite, inframezzate dalla sosta per la Nazionale. Giocare all’Olimpico per difendersi è lecito ed, entro certi limiti, anche giusto ed in linea con ciò che molte altre squadre, straniere o italiane, dovranno fare. Il punto è che bisogna sapere cosa voglia dire difendere: densità a centrocampo, pressing sui portatori di palla altrui, difesa mobile e pronta a salire con buoni sincronismi per il fuorigioco, concentrazione in marcatura, velocità di base per tamponare le folate altrui, capacità di leggere il gioco per battere sull’anticipo i giocatori più tecnici tra gli avversari onde impedirgli di entrare in possesso del pallone. Tutto ciò che il Cska non ha fatto. Se poi a questi errori d’impostazione si aggiungono quelli dei singoli (portiere, autorete, gol sbagliato, ecc.) e un’evidente mollezza anche dalla metà campo in su (ma Tosic non doveva essere un buon giocatore?), il quadro che ne esce è impietoso.
Gervinho, una freccia in mezzo a tanti birilli
Nella Roma, semplicemente devastante Gervinho contro il quale chiunque dovrebbe capire che l’unica cosa da fare è non lasciargli campo per accelerare: Slutski e i suoi non l’hanno compreso, l’ivoriano li ha sistematicamente puniti facendo terra bruciata con i suoi sprint, stavolta abbinati a una non scontata precisione sotto misura; Iturbe, dopo aver stentato un pò nelle prime uscite, ha mostrato progressi a vista d’occhio nell’intesa con i nuovi compagni, il gol lo aveva anche liberato da qualche ansia di troppo, purtroppo l’infortunio lo ha fermato sul più bello; Totti si è limitato a trotterellare sicuro ma già così vale ampiamente il prezzo del biglietto: non gli serviva altro, corressero gli altri, per lui è sufficiente alzare la testa e agitare il pennello, il quadro si realizza da sè; Torosidis continua ad inanellare prestazioni di tutta sostanza impreziosite da qualche raid culminato con cross millimetrici; Nainggolan è sempre più l’anima del centrocampo ed è l’uomo ovunque, implacabile nello sradicare i palloni quanto preciso negli appoggi, puntuale negli inserimenti e anche pericoloso al tiro dalla distanza (vedi Empoli) e al ritorno di Strootman non è affatto scontato che dovrà cedergli la maglia; ma una parola in più la merita Manolas, giunto nella Capitale tra qualche diffidenza, si è subito inserito nei meccanismi come un veterano, veloce le (rare, per la verità) volte in cui è chiamato al recupero, mai in affanno, preciso negli anticipi, dotato di buon piede nell’avviare l’azione, forte fisicamente. Con tutto il rispetto per Iturbe e i tanti altri colpi di mercato, è proprio lui la novità più piacevole. A Monaco di Baviera, Robben avrà pur detto: “Benatia, chi?“. Cominciano a dirlo anche sul Tevere.
Le note stonate della serata, oltre agli infortruni di Iturbe ed Astori, vengono, come troppo spesso accade in questo paese, dall‘ordine pubblico: due tifosi russi sono stati accoltellati fuori dallo stadio prima del fischio d’inizio, uno grave ma non in pericolo di vita, è ancora ricoverato in rianimazione al Gemelli. Con l’aggravio che l’intervento dell’ambulanza è stato procrastinato da ultrà romanisti che hanno ostacolato l’arrivo del veicolo. Non solo: anche durante la partita il clima è stato tutt’altro che idilliaco con lanci di fumogeni da parte dei Distinti Nord (occupati dai circa mille sostenitori moscoviti) verso la Curva Nord ( vi erano assiepati i romanisti) che ha rispedito il materiale pirotecnico al mittente. Ne è seguito un tentativo di scontro fisico ma, nel mezzo, c’era un cordone di steward. Inutile dire come questi ragazzi in pettorina gialla, privi di addestramento specifico, disarmati (e pure sottopagati), abbiano avuto la peggio, ricevendo calci e pugni da alcuni russi scalmanati, 15 dei quali sono stati fermati, tre arrestati mentre sono stati spiccati quattro Daspo, di cui tre internazionali. La notte del 3 maggio è tornata improvvisamente vicina. E si continua a non vedere la luce fuori da questo tunnel di violenza cieca ma di certo la morte di Ciro Esposito non ha ancora insegnato nulla. A nessuno.
L’esultanza senza freni di Boateng
Il tiro da tre punti di Boateng
Sempre nel Gruppo E, è andato in scena il big match di questa seconda tranche del primo turno di Champions: all’Allianz Arena di Monaco il Bayern ha meritatamente battuto per 1-0 il Manchester City con rete decisiva di Jèrome Boateng con un grande esterno destro (deviato dalla schiena di Goetze) sotto l’incrocio esploso, come da consuetudine quando si parla di squadre tedesche, allo scadere. Ma le modalità con cvui è maturato il successo bavarese non debbono trarre in inganno: il predominio territoriale dei padroni di casa è stato chiaro, pur meno “tikitakeggiato” rispetto all’anno scorso, e notevole il divario anche in termini di palle-gol con Hart costretto agli straordinari, soprattutto su Thomas Mueller. Se consideriamo che in casa-Bayern mancavano all’appello Javi Martìnez, Schweinsteiger, Ribèry, Alcantara, Badstuber e Robben ha iniziato comodamente seduto in panchina, una dimostrazione di forza assoluta, vista anche la consistenza di un’avversario, il City, che non ha neanche sfigurato, avendo provato, soprattutto nel primo tempo, a rispondere colpo su colpo. Ma la differenza tra le due squadre risiede nell’impianto di gioco: solido e collaudato quello bavarese, molto affidato all’estro dei suoi solisti quello dei campioni d’Inghilterra. Ora, il 30 settembre, la Roma andrà proprio a Manchester a far visita ad una squadra che, superati certi complessi in patria, fatica ancora ad acquisire una compiuta dimensione internazionale. E sarà, forse, già la partita chiave del Gruppo: a Pellegrini e ai suoi non sarà concesso un’ ulteriore battuta d’arresto mentre la Roma potrebbe giocare anche per il pari. Un successo esterno dei giallorossi, poi, spianerebbe la strada per gli ottavi a Roma e Bayern. Per questo era fondamentale l’esordio con il Cska: contro l’avversario più a bbordabile, in casa, i tre punti erano d’obbligo mentre ora saranno gli inglesi ad avere le spalle al muro.
L’incornata vincente di Piquè contro l’Apoel
La punizione-gol di Schoene
Negli altri match di giornata spiccano le prove molto in chiaroscuro di altre big annunciate: il Psg di Ibra e Cavani va in vantaggio ad Amsterdam con l’Ajax proprio grazie ad un tap in vincente dell’uruguaiano ex Napoli ma poi spreca l’impossibile e, puntualmente, rimedia la beffa del pari olandese, merito di una punizione dello specialista Schoene sulla cui parabola Sirigu non appare proprio irreprensibile. Nello stesso Gruppo, l’F, il Barcellona prosegue la sua striscia positiva (quattro gare ufficiali con quattro vittorie) battendo, ma con il minimo scarto (1-0) e sudando le proverbiali sette camicie con il piccolo Apoel Nicosia, chiusosi molto bene dietro e autore di ripartrenze che hanno gelato il sangue del Camp Nou. A decidere, un ritrovato Piquè, tempista nello schiacciare di testa una punizione ottimamente calibrata da Messi. Prosegue, quindi, la “proposta” di Luìs Enrique che ha mandato in campo ben sette canterani. Per ora il gioco ancora non decolla, soprattutto quello senza palla ma, quantomeno, cresce a vista d’occhio l’intesa tra i due assi, Messi e Neymar. Carente, però, la fase difensiva (ad onta degli zero gol incassati in queste quattro partite) e, soprattutto, i blaugrana faticano a ritrovare gli automatismi di un tempo nel gioco senza palla. Sembrano già lontani i tempi del Barça di Pep che incantava il mondo ma, per quanto prolifico, il vivaio barcellonista non può sfornare in tempi record gli eredi di Iniesta e Xavi (e la staffetta tra i due “vecchietti” non può non aver evocato un senso di diffusa malinconia tra tutti gli amanti di questo gioco). Il problema maggiore è proprio l’involuzione dei due pilastri del centrocampo. Però, si vince e questa è la miglior garanzia possibile per proseguire i lavori in corso senza subire roventi polemiche.
La sorpresa maggiore, forse, l’ha fornita il Gruppo G con il quotatissimo Chelsea di Mourinho, molto rinforzato quest’estate dopo aver depredato il meglio del meraviglioso Atlètico di Simeone (Coutois, Filipe Luìs e Diego Costa), costretto ad un pari interno (1-1) dallo Schalke 04, ultimo in Bundesliga con un misero punticino dopo tre giornate. In vantaggio grazie ad un altro acquisto da 90 come l’ex barcellonista Fàbregas (poi autore di un errore clamoroso sotto porta che è costato un comodo 2-0 ai suoi e protagonista della palla persa da cui Draxler è partito come una saetta per imbeccare Huntelaar per il pari), i blues hanno poi stentato, creando occasioni solo su mischioni e azioni confuse. Ancora troppo approssimativa la costruzione della manovra e, con palla sulla trequarti, anzichè ceracare il fondo o l’uno-due al limite dell’area, la solita pioggia di traversoni alla cieca, sperando che Drogba inventi qualcosa. Ma l’età dell’ivoriano è quella che è e pure la sua reattività. Preoccupa, e non poco, invece, quanto dichiarato da Mourinho sull’escluso Diego Costa a fine gara: “Non può mica giocare tre volte a settimana!“. Se così stan le cose, quei 40 milioni di clausola rescissoria pagati all’Atlètico cominciano a sembrare un pò tantini. Sulla sponda tedesca, ennesima riprova del talento immenso di Draxler: da solo ha spaccato in due il Chelsea in più di un’occasione.
Il secondo dei tre gol di Brahimi al Bate
Julian Draxler, la stellina dello Schalke
Infine, nel Gruppo H, nettissima affermazione del Porto sul malcapitato Bate Borisov, riuscito a far peggio del Cska e sepolto sotto un pesante 6-0: qui la notizia è che il mattatore non è stato Jackson Martìnez (comunque a segno) ma l’algerino Brahimi, autore di una tripletta. Scialbo 0-0. invece, nell’altra gara del gruppo, tra l‘Athletic Bilbao e lo Shakhtar Donetsk di Lucescu nel nuovo San Mamès.
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