Con l'Atalanta finisce a capo chino
La Roma non capitalizza il gradito presente offertole dalla Juve vittoriosa nell’anticipo del sabato con la Lazio e non riesce ad andare oltre uno scialbo 1-1 interno con l’Atalanta. Ora, le due romane si trovano appaiate a quota 58 punti al secondo posto dietro i lanciatissimi bianconeri cui saranno sufficienti altre tre vittorie nelle rimanenti sette gare per cucirsi sul petto il quarto scudetto consecutivo.
Tèvez, ancora protagonista: qui, dopo il gol mima la “gallina”, nomignolo dei tifosi del River, rivale del suo Boca
Sabato sera, in quello che l’impressionante ascesa laziale aveva trasformato nell’imprevedibile match clou dell’intero campionato, la Juventus aveva battuto la Lazio per 2-0 fermando a quota otto la serie di vittorie consecutive degli uomini di Pioli. Una partita un pò anomala nel suo svolgimento ma, in fin dei conti, logica. Ha vinto la squadra non solo e non tanto la squadra più forte, quanto quella più abituata a gestire impegni da “tutto in una notte”. Cinica a sfruttare le pochissime opportunità concesse dai biancocelesti, addirittura monumentale nella tenuta stagna della difesa che ha lasciato le briciole (una conclusione di Klose deviata da Bonucci nel primo tempo, una punizione calciata con la consueta violenza da Candreva alzata oltre la trasversale da Buffon e un’uscita del portierone a chiudere sull’unica sortita di Felipe Anderson nella ripresa) al temuto attacco laziale. Ennesima dimostrazione della straordinaria capacità di Allegri di far alzare l’asticella della concentrazione (più che della prestazione: la Juve non ha avuto neanche bisogno di spingere sull’acceleratore) nelle occasioni che contano, a conferma che quello di Parma è stato solo un incidente di percorso. Non altrettanto impeccabile, invece, il suo dirimpettaio, Stefano Pioli. Nessuna bocciatura per l’eccezionale lavoro svolto sin qui dal tecnico emiliano, per carità, ma una sfida di vertice che, se vinta, avrebbe potuto dischiudere scenari addirittura impensabili, andava gestita meglio. La sua Lazio ha giocato bene, ha fatto la partita per quasi tutti i 90 minuti, ma è stata un’esibizione all’insegna del vorrei ma non posso. Sterile davanti, troppo imprecisa e con poche idee per rifornire adeguatamente le punte e fragile dietro dove si è avvertita oltremodo la pesante assenza di De Vrij (sarà una coincidenza, ma si è trattato della quarta sconfitta su quattro gare di campionato don l’olandese out). Va bene aggredire la Juve, anche nel fortino dello Stadium, ma allora perchè rinunciare a Candreva? e perchè farlo entrare solo nel secondo tempo con il punteggio già sullo 0-2? Il tecnico emiliano, preferendo all’ala azzurra, il più compassato e geometrico Mauri per inserire Lulic a centrocampo e Braafheid esterno basso a sinistra, ha disegnato una squadra più guardinga. Logica voleva, allora, una partita più oculata. Anche per proteggere un reparto difensivo orfano del suo leader naturale. Giusto anche aggredire, ma allora perchè non farlo con il tridente pesante sin dall’inizio?
Comunque, le reti, molto simili tra loro peraltro, di Tèvez e Bonucci hanno messo il sigillo su una prestazione di grande applicazione e sostanza da parte dei campioni d’Italia.
Totti esulta alla sua maniera per il ritorno in campo e al gol
Viatico migliore per la domenica romanista non poteva esserci. E la tifoseria giallorossa, pur in un clima avvelenato dalla ormai netta spaccatura interna tra una sua consistente rappresentanza e il numero uno della società James Pallotta, già pregustava il controsorpasso. Anche perchè, di fronte, c’era l’Atalanta, già forte di un vantaggio abbastanza rassicurante sul Cagliari in ottica salvezza. Una di quelle partite in cui ti aspetti che la difficoltà maggiore risieda nello sbloccare il risultato. Problema risolto quasi al pronti via con l’improvvido intervento di braccio di Stendardo in area bergamasca che valeva il rigore trasformato dal rientrante Totti (non segnava da Verona-Roma di febbraio, ndr). Ironia del destino, proprio un ex laziale stava spianando la strada agli uomini di Garcia. Invece, quel che è accaduto dopo è stato uno “spettacolo” davvero avvilente per tutti i non molti (la Curva Sud è stata riaperta solo parzialmente) presenti sugli spalti dell’Olimpico. Una delle peggiori esibizioni di questo già pessimo segmento di stagione romanista. Squadra lenta, impacciata, incapace non solo di chiudere un match ampiamente alla portata, ma anche solo di creare i crismi della pericolosità. Solo qualche tiro dalla distanza e una conclusione del solito intraprendente Florenzi, frutto però di un errore della difesa atalantina. Tutto qui il primo tempo romanista. condito da una fase anche piuttosto prolungata di impensabile tiki taka bergamasco. Ma già sarebbe andata bene. In mezzo, però, c’è stato anche l’evitabilissimo intervento di Astori a propiziare il penalty del pareggio di Denis.
Il rigore di Denis per l’1-1
Nel secondo tempo, soprattutto dopo l’ingresso di Keita, si è vista perlomeno la voglia di cercare la rete della vittoria, ma la lucidità, oltre alla condizione, erano a far compagnia ai De Rossi, Gervinho, Castan, Maicon, Pjanic. Illustri assenti.
La Curva Sud vuota per la squalifica
Fa bene Garcia a lamentare la mancata espulsione di Dramè e la non concessione di un rigore su Ibarbo ma la sostanza non cambia di molto: la squadra non c’è più. Se con il Napoli, ci si era potuti appoggiare al gioco partenopeo che lasciava invitanti spazi dietro, contro formazioni molto più sparagnine i problemi della Roma tornano a galla impietosi. Lo si era visto anche contro il Torino, ma ieri, in una partita tatticamente simile, si è registrato, se possibile, un deciso passo indietro. E la delusione del tecnico francese, unita alle sue parole pronunciate a fine gara, dimostra come anche Garcia sia perfettamente consapevole della gravità della situazione. In questo momento, solo un calendario benevolo lascia margini di speranza alla Roma. L’ambiente tutto, a cominciare da una tifoseria più attenta a contestare il proprio presidente che a sostenere i giocatori in campo, sembra decisamente avvilito. Se non rassegnato.
La contestazione a Pallotta
Dietro, forte delle goleade inflitte a Fiorentina e Wolfsburg, sta rinvenendo forte il Napoli, autore di un’altra mattanza, stavolta vittima il già derelitto Cagliari, probabilmente ancora sotto schock per l’aggressione subita dai propri tifosi (il che, unito alla devastazione dell’Ossola di Varese, segna il punto più basso della triste saga del tifo ultrà in Italia). Cinque i punti che ora separano le due romane dai partenopei. Che potrebbero vedersi avvicinare, a loro volta, ad una sola lunghezza dalla Fiorentina, impegnata stasera al Franchi con il Verona.
A Milano, invece, è stata festa. almeno sugli spalti
In serata, infine, è andato in scena il derby di Milano. Un derbyno, si leggeva sui giornali alla vigilia. E un derbyno è stato. Alla faccia dei 75 mila che hanno affollato S.Siro. Emozioni con il contagocce, un pò di Inter all’inizio, un pò di Milan a fine prima frazione, solo Inter nella ripresa, con il corollario di un rigore negato (ingiustamente) e di un autogol di Mexès annullato (giustamente, stavolta). Ma uno 0-0 davvero povero dove a farla da padrone è stata la paura di non perdere. Tanto entusiasmo e tanta attesa, davvero lodevoli considerato il prezzo dei biglietti e il momento pessimo delle due squadre meneghine, non meritavano tanta mortificazione.
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