Per capire gli effetti del mondo digitale sull’uomo, ormai entrato definitivamente nella vita di tutti noi – internet e smartphone ci condizionano non poco anche nelle relazioni, tanto da avere praticamente dimenticato com’era il mondo prima – è nata la screenomica.
Alla stregua della genomica, che aiuta ad indagare cosa succede nel corpo umano, per riuscire a comprendere veramente gli effetti psicologici e fisici dei dispositivi tecnologici serve uno studio approfondito di cosa si fa con smartphone, pc, iPad, tv, GPS, e persino con un tapis roulant . Perché quel che è certo è che si trascorrono ogni giorno un numero esagerato di ore – c’è chi sostiene si arrivi anche a 7 ore – davanti ad un qualsiasi display di un telefonino: controlliamo Facebook, Instagram e altre piattaforme e utilizziamo WhatsApp e Telegram su base costante. E non sono solo i giovani a comportarsi così.
Ad esempio, per i più piccoli il tempo davanti ad uno schermo si è accelerato, addirittura triplicato negli ultimi anni. Oramai cominciano prestissimo a usare dispositivi tecnologici come smartphone e tablet da cui sono molto attratti. Il dato sconcertante però lo fornisce quel 30% genitori che usa il proprio smartphone per distrarre il figlio già durante il primo anno di vita. Al contrario dei consigli che la SIP, la Società Italiana di Pediatria, ha affidato a un documento ufficiale per le raccomandazioni relative all’uso dei media device nei bambini da 0 a 8 anni di età.
A coniare il termine ‘screenomica’ sono stati alcuni ricercatori in un editoriale su Human-Computer Interaction. Secondo loro, misurare solo lo ‘screen time’, il tempo passato davanti allo schermo, è inutile. I metodi attuali per registrare le esperienze digitali, scrivono gli esperti, danno solo una ricostruzione parziale della ‘vita digitale’.
“Si pensi solo a cosa si può fare aspettando il bus – spiega Byron Reeves dell’università di Stanford al New York Times -. Mandare messaggi, guardare uno sketch, giocare a un videogioco, comprare i biglietti di un concerto, fare selfie. La verità è che nessuno sa cosa fanno le persone davanti agli schermi, e per capire cosa succede bisogna saperlo”. Per misurare la ‘screenomica’ di una persona i ricercatori suggeriscono di estrarre screenshot a pochi secondi di distanza l’uno dall’altro, estraendone testi e foto.
Nell’articolo sono riportati esempi di diverse dozzine di persone, da cui si deduce che le persone di norma cambiano attività ogni 20 secondi, e raramente passano più di 20 minuti senza interruzioni in una singola applicazione. Lo ‘screenoma’ di una persona servirebbe a capire meglio gli effetti delle attività, concludono gli autori, ad esempio sullo sviluppo della depressione.
A.B.
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