La mattina del 2 aprile 1957, un martedì, diverse centinaia di persone telefonarono alla BBC per chiedere informazioni sulla coltivazione degli spaghetti. Gli fu risposto di “piantare uno spaghetto in una lattina di salsa di pomodoro e sperare in bene”.
Erano le vittime di un pesce d’aprile rimasto nella storia. La sera prima, Panorama, il settimanale di approfondimento della tv di stato britannica, aveva trasmesso un servizio che mostrava sedicenti contadini svizzeri intenti alla raccolta degli spaghetti, che crescevano già cotti, appesi ai rami di misteriosi alberi. Il raccolto 1957 era stato ottimo, diceva la voce fuori campo: merito dell’inverno mite e della scomparsa del temibile “punteruolo degli spaghetti”, flagello alato delle colture.
Erano gli anni della ricostruzione, e in Inghilterra, evidentemente, la pastasciutta non era ancora di pubblico dominio. Lo scherzo era stato ideato da Charles de Jaeger, un cameraman della BBC, e realizzato a costo zero grazie alla complicità di Richard Dimbleby, giornalista e presentatore della cui professionalità non dubitava nessuno, diventato famoso durante la guerra con le sue corrispondenze dal fronte. Il servizio colpì nel segno, riuscì a non urtare la sensibilità di nessuno, e rimase un punto di riferimento per tutti i pesci d’aprile a venire.
La tradizione del pesce d’aprile è antichissima e seguire il filo della storia non è facile, anche perché in materie del genere si corre il rischio di finire presi in giro. Ai giorni nostri è diffusa in tutta Europa; in Spagna e in America latina, invece, la giornata dedicata agli scherzi è il 28 dicembre, ricorrenza della biblica strage degli innocenti.
L’espressione italiana con cui si indica la ricorrenza è simile a quella francese, poisson d’avril. Questo ha spinto alcuni storici a ricercarne l’origine in Francia: precisamente nell’editto di Roussillon, proclamato nel 1564, con cui il re decretò in via definitiva che il capodanno sarebbe dovuto cadere il 1° gennaio. Il re, per la verità, aveva solo preso atto di una consuetudine già diffusa; ma molti, soprattutto nelle campagne, continuavano a festeggiare l’inizio dell’anno intorno al 25 marzo, come si era fatto nei secoli precedenti.
Far coincidere il capodanno e l’equinozio di primavera aveva senso in una società agricola permeata dalla religiosità cristiana: coincideva con la fine del riposo forzato invernale e aveva significati simbolici legati alla rinascita e alla resurrezione. Ancora oggi l’associazione fra le due ricorrenze si ritrova in molte culture. Si pensi al Nouruz, il “capodanno persiano”, una delle poche ricorrenze di origine zoroastriana sopravvissute alla conversione all’Islam, o allo Holi, la “festa dei colori” indiana. Ai tempi dell’Impero romano si celebravano gli Hilaria in onore di Cibele, dea madre di origini asiatiche: per festeggiare la resurrezione del suo amante Attis ci si travestiva, si inventavano scherzi e si invertivano i rapporti sociali, un po’ come nei Saturnalia, che invece si tenevano a dicembre, e nel carnevale.
Ma i cittadini avevano altre preoccupazioni per la testa, e trovavano tanto logico festeggiare il capodanno il primo giorno del primo mese dell’anno, quanto stupida qualsiasi altra opzione. Da lì verrebbe la metafora del pesce, animale non particolarmente brillante, che fin dalla notte dei tempi non ha mai imparato a non farsi prendere all’amo. E la settimana tra il 25 marzo e il 1° aprile era lecito e facile individuare i sempliciotti che festeggiavano il capodanno alla vecchia maniera e farli oggetto di scherzi e prese in giro.
Questa, però, non è l’unica spiegazione possibile. Un’altra è stata avanzata nel 1983 da John Boskin, uno storico dell’Università di Boston. Secondo Boskin, un imperatore bizantino – se non addirittura lo stesso Costantino – avrebbe ceduto per un giorno il potere al giullare di corte, che tra il serio e il faceto gli aveva assicurato di essere in grado di governare meglio di lui. In quelle fatidiche 24 ore, il giullare avrebbe emesso un decreto che obbligava i sudditi dell’impero a dedicarsi agli scherzi per tutto il giorno.
La scoperta di Boskin fu pubblicata dall’Associated Press e ripresa da testate di tutto il mondo. I lettori non credevano ai loro occhi. Solo vari giorni dopo l’autorevole agenzia si rese conto di un dettaglio. Lo studio non le era stato consegnato in una data qualsiasi del 1983. Era comparso il primo aprile.
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