La grande nuova strada del commercio internazionale sarà costruita non più sull’acqua ma sulla terra ferma. Sarà infatti l’Eurasia, capitanata dalla Cina, a sviluppare, nel terzo millennio, il più grande canale di scambio di beni, servizi e risorse che l’umanità abbia mai visto. Ma per legittimare questa grande aspirazione umana si è scelta la strada più antica, quella della Seta, nome suggestivo sul quale adesso si punta per dare una chiave di lettura del nostro futuro a partire dai prossimi anni. Così almeno la pensano gli americani e qui di seguito riportiamo un’inchiesta effettuata dal New York Time Magazine che attraverso i propri inviati ha delineato lo scenario prossimo venturo, raccontando la nascita del nuovo interporto di Khorgos, al confine tra Cina e Kazakistan.
E.R.
Il polo Eurasiatico dell’inaccessibilità è un nome di straordinaria efficacia per descrivere una mancanza. Indica il punto geografico continentale più distante da un mare o da un oceano sul nostro pianeta. Situato in Cina ad est dal confine con il Kazakistan, il polo continentale si trova ad un’incredibile distanza da porti e linee costiere – oltre 2500 km in ciascuna direzione, in una zona di steppe bianche e montagne grigio blu che è, tra l’altro, tra le meno popolate del pianeta. Qui, tra alcuni degli ultimi sopravvissuti tra i pastori nomadi dell’Asia Centrale, annidato tra due propaggini della catena del Tien Shan, ai margini del Kazakistan, sta crescendo il più grande progetto di infrastrutture nella storia del mondo.
A circa 120 km dal Polo dell’inaccessibilità, appena superato il confine col Kazakistan, c’è un villaggio chiamato Khorgos. Ha trascorso la maggior parte della propria esistenza nell’oscura periferia degli affari internazionali, e la popolazione ufficiale si attesta su 908 persone. Ma negli ultimi anni, è diventato un nodo importante dell’economia globale. E’ infatti parte dell’iniziativa che è informalmente conosciuta come la nuova “Via della Seta”, un investimento guidato dalla Cina per costruire una vasta rete di autostrade, line ferroviarie e rotte marittime transoceaniche, sostenute da centinaia di nuove piante, tubature e città-azienda in decine di paesi. Fondamentalmente la Nuova via della Seta – più conosciuta con il termine inglese Belt and Road Initiative o B.R.I. – connetterà le fabbriche situate sulla costa della Cina e la crescente classe di consumatori con il centro, il sud e il sud-est asiatico; con gli Stati del Golfo e il Medioriente; con l’Africa; e con la Russia e tutte le nazioni Europee, il tutto attraverso un intenso reticolo di vie terrestri e marittime la cui ambizione è impressionante.
Khorgos è il principale progetto di questa serie di lavori in corso: un centro internazionale per le spedizioni e un’area di libero scambio, i cui promotori assicurano è pronto per diventare la nuova Dubai. Grazie alla sua posizione geografica, all’incrocio tra la più grande economia nazionale del mondo e il più grande continente senza sbocco sul mare, Khorgos è diventato un improbabile precursore del pianeta interconnesso: una zona totalmente rinchiusa nella logica della globalizzazione, in cui le merci fluiscono liberamente attraverso i confini sovrani, seguendo corridoi progettati per localizzare ogni essere umano sul pianeta all’interno di una rete globale di produttori e consumatori, compratori e venditori.
I progetti della Cina ovviamente sono assai più ambiziosi e si spingono ben oltre il Kazakistan orientale.
La “Bealt” dell’acronimo B.R.I. si riferisce alla “Cintura” Economica della Via della Seta, un intrico di ferrovie e autostrade che si muovono in modo disordinato attraverso il continente euroasiatico, dalla Cina orientale alla Scandinavia. Il termine “Road” si riferisce alle rotte marittime che uniranno Guanzhou (in italiano Canton) con Venezia, e che già prevedono la pianificazione di alcune importanti tappe, in Malesia, Etiopia ed Egitto, lungo il percorso.
Ad oggi, almeno 68 paesi, che rappresentano quasi i due terzi della popolazione totale del pianeta, hanno firmato progetti bilaterali, parzialmente finanziati dalle banche cinesi e da altre imprese statali. Le imprese cinesi stanno costruendo o investendo in nuove autostrade e centrali elettriche a carbone in Pakistan, in porti in Grecia e Sri Lanka, in gasdotti e oleodotti in Asia centrale, stanno costruendo una città industriale in Oman e realizzando un progetto ferroviario da 6 miliardi di dollari in Laos, nazione che nel 2017 aveva un PIL di meno di 17 miliardi di dollari.
Gli investimenti in infrastrutture portuali della Cina si estendono dal Myanmar a Israele e dalle Mauritius al Belgio. La Cina ha speso fino ad ora circa 200 miliardi di dollari per progetti legati alla B.R.I., per lo più in Asia, ma è già implicito che arriverà a spendere un totale di 1 trilione di dollari su centinaia di progetti in tutto il mondo nei prossimi anni – per fare un celebre paragone, il Piano Marshall per la ripresa europea con i suoi 14 miliardi di dollari prevedeva investimenti inferiori di circa un ordine di grandezza. Quando gli investimenti di tutti i paesi partecipanti vengono sommati, il costo stimato dell’intero progetto sale a 8 trilioni di dollari.
Il Progetto B.R.I. è talmente vasto e molteplice che descriverlo può sembrare il tentativo di raccontare le condizioni atmosferiche dell’intero pianeta. Alcune sue singole parti si estendono per centinaia di chilometri e sono di per sé talmente complesse e si muovono su un tale piano internazionale da scoraggiare l’impresa di un loro racconto; come il corridoio economico Cina-Pakistan da 68 miliardi di dollari, o il corridoio in Bangladesh-Cina-India-Myanmar attualmente in stallo. Nel suo complesso, la B.R.I. è insondabile. Ma a Khorgos, avamposto pionieristico, è possibile avvicinarsi a questo immenso progetto più che altrove e apprezzare la portata delle sue aspirazioni.
Il lato cinese del confine si fa notare più facilmente. Già dal 2014 è infatti apparsa una città artificiale da 100,000 abitanti, anch’essa chiamata Khorgos anche se talvolta viene trascritta Horgos e i suoi grattacieli scuri brillano nel sole. Il lato del confine Kazako è molto meno affascinante da lontano, ma ospita la prima zona di libero scambio aperta sul territorio condiviso con la Cina.
Qui sorge un nuovo centro direzionale: un interporto di spedizione e logistica interno per treni merci – che è entrato in funzione nel 2015 e potrebbe presto diventare il più grande interporto del suo genere nel mondo. Adiacente ad esso c’è una nascente cittadella della compagnia ferroviaria, e altri appezzamenti nelle vicinanze sono stati ripuliti per fare posto a fabbriche e magazzini a disposizione di quelli che saranno i futuri residenti della città da 100.000 abitanti che, se tutto andrà come previsto, presto verrà costruita per fare da gemella a quella oltre il confine.
La Cina non ha mai pubblicato una mappa ufficiale della B.R.I. e nemmeno una lista dei progetti approvati, e non fornisce né un numero esatto delle nazioni partecipanti né delle linee guida su cosa significhi essere degli stati partecipanti. Ma questa confusione potrebbe essere uno dei suoi principali vantaggi. Piuttosto che un elenco di megaprogetti e accordi bilaterali, alcuni dei quali potrebbero fallire, la B.R.I. può essere intesa come una longa manus che guida tutti gli sviluppi interconnessi in infrastrutture, energia e commercio in cui la Cina svolge qualsiasi tipo di ruolo.
E’ anche una cornice dentro la quale i leader della Cina possono virtualmente inserire ogni elemento della propria politica estera, da un impianto di carbonato di sodio in Turchia, alla prima base militare all’estero a Gibuti, e presentarlo come parte di una visione di politica estera non aggressiva che i rappresentanti del partito chiamano “lo sviluppo globale vantaggioso per tutti”.
Negli ultimi anni, la Cina ha proposto diverse espansioni della visione della B.R.I. del presidente Xi Jinping che rendono il suo campo di applicazione quasi illimitato: la “Via della seta digitale” nelle frontiere del virtuale, la “Pacific Silk Road” in Sud America, e l’attraversamento dell’Artico “Silk Road on Ice”. Lo stesso Xi ha nel frattempo esaltato i meriti della globalizzazione a Davos e ha lavorato per definire il suo “progetto del secolo” una estensione naturale delle rotte commerciali spontanee, che un tempo si intrecciavano nel continente euroasiatico.
I critici hanno descritto la B.R.I come una nuova forma di colonialismo o addirittura come parte di una strategia di “debt-trap diplomacy”: sedurre i paesi poveri carenti di denaro liquido con progetti infrastrutturali, che difficilmente sono in grado di generare entrate sufficienti a coprire gli interessi sui prestiti che li hanno finanziati. Questa è la situazione infelice del porto di Hambantota, finanziato dalla Cina in Sri Lanka, che la China Harbor Engineering Company ha rilevato dopo che lo Sri Lanka è rimasto indietro nel pagamento del debito. Il Centro per lo Sviluppo Globale elenca otto paesi che corrono un rischio elevato di “pericoloso indebitamento” da parte di progetti B.R.I. che non possono permettersi.
Il Kazakistan è pronto a svolgere un ruolo preminente e centrale nei piani cinesi. Il progetto della B.R.I. è stato annunciato per la prima volta ad Astana, in occasione di una cerimonia del 2013 alla presenza di Xi Jinping e del presidente di lunga data del Kazakistan, Nursultan A. Nazarbayev. Allo stesso evento, Xi e Nazarbayev hanno anche celebrato l’apertura di un gasdotto congiunto e firmato contratti per 30 miliardi di dollari di investimenti e commerci. Sebbene in passato l’economia del Kazakistan abbia avuto la tendenza a orbitare attorno alla Russia, nel 2007 la Cina ha superato la Russia come principale importatore dal Kazakistan e alcuni critici temono che la B.R.I. stia conducendo il paese in un ancor più profondo vassallaggio economico.
Anche in un paese con pochi e poco significativi diritti democratici, vi sono dei rischi nel corteggiare gli investimenti esteri. Nel 2016, una proposta di legge che avrebbe permesso di affittare appezzamenti di terreni agricoli a società cinesi, ha suscitato proteste a livello nazionale, costringendo Nazarbayev a riformulare la misura.
La compagnia ferroviaria nazionale del Kazakistan possiede il 51 percento dell’Interporto di Khorgos. Il restante 49 percento è suddiviso tra due società statali cinesi. Zhaslan Khamzin, amministratore delegato dell’interporto considera la partecipazione della Cina non come una forma di imperialismo economico, ma come prova delle sue probabilità di successo. I cinesi, ha spiegato, “sono il tipo di persone che se non vedessero opportunità commerciali, non investirebbero qui”.
Gi accordi commerciali per la B.R.I. sono meno unilaterali in Kazakistan rispetto a quelli dei paesi che si sono legati al progetto contraendo un debito, quindi è molto improbabile che ciò che è successo nello Sri Lanka accada qui. Ma gli investimenti cinesi hanno probabilmente soffocato la risposta del Kazakistan alla repressione nello Xinjiang.
Ogni treno che arriva a Khorgos deve passare attraverso la regione cinese dello Xinjiang, che ospita 24 milioni di persone, tra cui oltre 12 milioni di uiguri (un’etnia turcofona di religione islamica). Gli uiguri costituiscono la maggioranza relativa della popolazione della regione, e circa 1,5 milioni di kazaki. Sebbene i disordini politici abbiano turbato la regione per decenni, negli ultimi anni si sono inaspriti, con una serie di attacchi con coltello e bombardamenti da parte dei separatisti uiguri; le autorità dello Xinjiang hanno però risposto con asimmetria brutale, radunando centinaia di migliaia di uiguri insieme a migliaia di residenti di etnie kazaki e kirghisi in un vasto territorio interno, lo scopo di tale deportazione rivaleggia con quello voluto dalla Rivoluzione Culturale di Mao. Le “offese” di queste persone spaziano dalle dimostrazioni aperte di credenze religiose – farsi crescere la barba, pregare in pubblico, possedere un Corano o rifiutarsi di fumare o mangiare carne di maiale – al semplice viaggiare o parlare con parenti all’estero. Per quelli non ancora detenuti, lo Xinjiang è diventato una zona distopica di checkpoint extralegali, pattuglie, tracciamento GPS e arbitrarie ispezioni delle abitazioni.
Alcuni esperti affermano che i campi e altre misure di sicurezza sono in parte dovute all’aumento del traffico merci attraverso lo Xinjiang, gran parte del quale ora passa attraverso l’interporto di Khorgos. Con la B.R.I. il ruolo dello Xinjiang è cambiato molto: le ambizioni della Cina lo hanno trasformato da un territorio marginale in quello che i leader del partito definiscono una “regione centrale” per lo sviluppo. Ecco perché la consapevolezza dell’esistenza dei campi tra gli abitanti di paesi come il Kazakistan è diventata problematica: ha la potenzialità di gettare una luce molto negativa su tutto il progetto della Nuova via della Seta.
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