Il futuro dell’auto elettrica è roseo e quasi tutte le maggiori case automobilistiche del mondo le hanno in produzione di serie. Nel 2030, un’auto su tre in Italia dovrebbe essere elettrica, mossa solo da batterie, secondo le previsioni di uno studio congiunto di Automobile Club d’Italia, Enea e CNR. Intanto nel paniere 2020 aggiornato come sempre dall’Istat, dove fanno ingresso nuovi prodotti rappresentativi dell’evoluzione nelle abitudini di spesa delle famiglie, per quest’anno troviamo anche le automobili elettriche e ibride elettriche e il monopattino elettrico.
Ma a questo punto si pone un problema serio. Quanto inquinano le batterie elettriche?
Secondo Lisbeth Dahllöf e Mia Romare, autrici nel 2018 di un paper per lo Swedish Environmental Research Institute di Stoccolma, la produzione di questi accumulatori genera l’immissione in atmosfera di enormi quantità di CO2 (diretta ed equivalente): dai 150 ai 200 kg per ogni kWh di potenza. L’aspetto inquinante rischia di essere quindi anche maggiore se la produzione avviene in Cina, dove i controlli sulle emissioni sono meno stringenti di quelli europei e nordamericani
Nella ricerca degli esperti svedesi sono state prese come campione la Nissan Leaf e la Tesla Model S, due delle e-car più vendute, le quali montano accumulatori rispettivamente da 30 e 100 kWh. Secondo i calcoli delle due ricercatrici la loro produzione genererebbe quindi 5,3 tonnellate di CO2 per la batteria della Nissan e 17,5 per quella della Tesla. Una moderna utilitaria equipaggiata con un motore a benzina da 1200 cc per produrre le stesse quantità di CO2 dovrebbe percorrere rispettivamente 42.000 e 154.000 km.
Dunque le auto elettriche inquinano più delle auto tradizionali?
Non è esattamente così, secondo lo studio, circa metà delle emissioni di CO2 legate alla produzione delle batterie è generato dalla lavorazione dei materiali grezzi utilizzati per costruzione degli accumulatori. Dunque spostando la catena industriale in aree con maggiori controlli con l’utilizzo di fonti rinnovabili e a bassa emissione di CO2 si può innescare un circolo virtuoso. Ma cosa fa l’Europa per una scelta auto più ecologica?
Da tempo la Ue sta lavorando a nuove normative per la creazione di batterie meno inquinanti.la Commissione Europea ha autorizzato, a dicembre 2019 un IPCEI – ossia un Progetto Importante di Interesse Comune – riguardante lo sviluppo e la produzione di batterie agli ioni di Litio da parte di sette Paesi membri: Italia, Francia, Germania, Belgio, Svezia, Finlandia e Polonia.
Il progetto estremamente innovativo e per molti aspetti rivoluzionario si inscrive nelle prassi attuative della Eurpean Battery Alleance, un accordo siglato nel 2017 con lo scopo di trasformare la Comunità nel leader mondiale per innovazione e decarbonizzazione, che nella produzione di batterie vede l’ imperativo strategico per la transizione verso energia pulita.
Con quest’ultima decisione la Ue ha autorizzato aiuti di Stato per complessivi 3,2 miliardi di euro, che saranno erogati dai singoli Governi. Nello specifico l’Italia è stata autorizzata a erogare 570 milioniper questo tipo di ricerche. Il progetto, come riassunto recentemente una relazione presentata a Bruxelles ha come obiettivo lo “sviluppo di tecnologie altamente innovative e sostenibili per le batterie agli ioni di litio con elettroliti liquidi e semiconduttori, che hanno una vita più lunga, che si ricaricano più velocemente, sono più sicure e più rispettose dell’ambiente rispetto alle batterie attualmente sul mercato”. Il progetto dunque dovrebbe dunque affrontare l’importante problema dell’impronta di carbonio nella produzione e riciclaggio delle batterie. Delle aziende coinvolte nel finanziamento fanno capo all’Italia Solvay, Endurance, Faam, Enel X e Kaitek.
Ma quanto è facile ricaricare un’auto elettrica? Per trovare una risposta esaustiva isogna partire da una distinzione: le auto che genericamente chiamiamo “elettriche” si suddividono in realtà in almeno tre categorie: elettriche vere e proprie, ibride, ibride plug-in. Le prime utilizzano l’elettricità come unica fonte di carburante, le seconde abbinano ad un’alimentazione elettrica anche un’alimentazione a benzina o diesel e la batteria si ricarica recuperando energia in frenata o in decelerazione. Nel terzo caso, la batteria può essere ricaricata anche utilizzando la corrente elettrica, aumentando così la durata di utilizzo col solo motore elettrico.
Uno dei primi problemi da affrontare nel caso di utilizzo di auto elettriche e ibride plug-in è dove effettuare la ricarica in un luogo pubblico, se si è impossibilitati a farlo dalla rete domestica. Nel 2017 le colonnine pubbliche erano circa 4.207, per 2.108 postazioni. Roma e Milano ne possedevano sul proprio territorio circa 60. Con un rapporto nazionale auto immatricolate/postazioni di ricarica di 2,23. Tutto sommato una buona proporzione, ma non sufficiente per accogliere le richieste IL Progetto dunque dovrebbe di un mercato in crescita. Così per il quadriennio 2019/2022 Enel ha pianificato di realizzarne 14.000 in più. Il piano strategico ora a metà cammino ha ricevuto il pieno appoggio da parte della Banca Europea per gli Investimenti (BEI) che sta sostenendo l’azienda italiana con un finanziamento complessivo previsto di 115 milioni di euro.
In Europa invece, secondo una ricerca di Transport & Environment (T&E) – organizzazione ambientalista – le colonnine di ricarica pubbliche dovranno moltiplicarsi di ben 15 volte di qui a 10 anni, se si vorrà arrivare all’obiettivo emissioni zero di CO2 nel trasporto privato, fissato dalla Ue per il 2050. Si tratta di investire 20 miliardi di euro, in media 1,8 all’anno.
T&E parte dal presupposto che, per arrivare a essere carbon neutral nel 2050, l’Europa dovrà avere sulle strade 44 milioni di veicoli elettrici già nel 2030. E, per fare in modo che questi possano ricaricarsi in luoghi pubblici senza lasciare a terra nessuno, occorrono circa 3 milioni di stazioni di ricarica. Oggi sono appena 185.000.
Elisa Rocca
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