Il giorno del giudizio si è finalmente consumato e, dopo un’attesa per molti anche snervante, il derby del secolo, il più importante della storia capitolina, il primo con in palio un trofeo e, come non bastasse, anche l’ultimo pass per l’Europa del prossimo anno, quello del tutto o niente e per questo anche molto temuto sotto il profilo della sicurezza (specie, visto il fresco precedente dell’8 aprile e la concomitanza con le elezioni amministrative) è passato agli archivi iscrivendo il nome della S.S.Lazio per la sesta volta nell’albo d’oro della Coppa Italia e lasciando alla Roma solo l’ennesima amarezza di un biennio da dimenticare quanto prima. Un Olimpico vestito a festa (anche se non esaurito) ha accolto gli eterni duellanti mostrando al mondo intero il suo volto migliore con lo spettacolo delle curve tutte colorate. Anche qui, però, va registrato il netto successo della sponda laziale anche sul versante coreografico: meraviglioso il disegno su maxitelone che riproduce la Dea Roma che consegna a un giocatore biancoceleste l’asta con l’aquila imperiale che gli aquiliferi portavano in battaglia. E sotto la scritta: “Hic manebimus optime”. Qui staremo benissimo. E benissimo si è trovata sul campo, la squadra di Petkovic, contro un’avversaria che, anche dopo lo svantaggio, ha creato veramente pochi pericoli, completamente bloccata dall’ansia del momento. Per carità, partita nel complesso bruttina (ma non peggiore di tanti altri derby che pure l’attenuante della tensione di una finale non l’avevano) con entrambe le contendenti molto attente a non scoprirsi ma, comunque, la conferma di quanto visto e detto nell’ultimo derby: a fronte di alcune individualità di grande classe, quantitativamente più numerose in casa giallorossa, la Lazio poteva opporre una manovra più ordinata e una ricerca degli spazi attraverso il fraseggio corto anziché speranzosi lanci lunghi a saltare il centrocampo. Proprio qui una delle chiavi del match: in quello laziale non ha certo brillato Hernanes ma nessuno se ne è accorto, tanto era compatta e corta la squadra, mentre nella Roma, oltre ad un Totti molto nervoso e sottotono, non è passata inosservata la latitanza in fase d’impostazione di De Rossi. Per lui un altro derby da dimenticare. Che potrebbe anche esser stato l’ultimo ma non si sa. Male anche le punte, con Lamela evanescente e poco coinvolto dai compagni e Destro (preferito ad un Osvaldo che non l’ha presa proprio bene) appena un po’ meglio ma colpevole di un gol mancato di testa che avrebbe chiuso il primo tempo. Nella Lazio anche Klose si è macchiato di un paio di erroracci sottoporta ma completamente diverso è stato il suo apporto alla manovra e i suo movimento senza palla a creare spazi dal nulla. Onazi, preferito da Petko nell’undici iniziale dopo aver vinto all’ultimo il ballottaggio con Gonzalez (anche se poi il “Tata” è entrato e ha offerto un prezioso contributo), ha anche lui sbagliato più di qualcosa (il tocco di palla è quello che è) ma è stato sempre presente nel vivo dell’azione e ha fornito una prestazione di grandissima intensità. Ledesma la solita cerniera a baluardo del quartetto difensivo e ottimo nel compito di togliere ossigeno al capitano giallorosso, fino all’anticipata dipartita ma poi il subentrato Mauri, sia pure con tutt’altri compiti, non ha creato scompensi tattici, pur fallendo clamorosamente un 2-0 che avrebbe risparmiato le palpitazioni finali. Candreva, il solito motorino inesauribile sulla fascia, pur non sempre lucido nel vedere i compagni e, a completare la rassegna del centrocampo laziale, l’uomo-partita: Senad Lulic, protagonista di alcune accelerazioni che hanno fatto male alla difesa romanista, oltre, naturalmente, al gol decisivo, non bello esteticamente e favorito da una smanacciata molto approssimativa di Lobont e dall’errore di Marquinhos, ma poco importa. Come si può vedere, a fianco di notazioni d’encomio non mancano rilievi da muovere ai singoli giocatori biancocelesti. Che, però, pur non essendo perfetti, hanno disputato la partita che dovevano fare e che a loro si chiedeva. Al contrario, come ha sottolineato in conferenza stampa Andreazzoli, della Roma. Dove, a lacune individuali, si è sovrapposta l’assenza di un’idea precisa su come rifornire gli avanti e come coprire al meglio gli spazi. Un po’ troppo per aspirare alla Coppa. Anche la difesa laziale è stata impeccabile con un Biava superlativo e un Cana che non ha ecceduto nella consueta irruenza e non ha concesso sbavature. Sulle qualità di Marchetti, poi, si rischia la monotonia: attentissimo sui pochi tiri da fuori (ad un certo punto, l’unica risorsa cui la Roma poteva attingere), decisivo nei convulsi minuti seguiti al vantaggio quando, con riflessi felini, prima dirottava sulla traversa una zuccata di Destro, imbeccato dalla punizione di Totti, e poi, era bravo ad anticipare tutti bloccando la sfera. Alla fine, l’apoteosi con Petko a girare per la pista felice come un bimbo con Olympia al braccio e poi capitan Mauri ad alzare al cielo di Roma la sesta Coppa Italia della storia biancoceleste (e la sua seconda personale) con sotto di sé tutti i compagni festanti e guidati in sfrenate danze da un euforico Onazi. La festa, poi, è proseguita fino a notte fonda, su un pullman scoperto in stile british, tra tanta gente laziale in delirio che ha occupato Piazza della Libertà (dove la S.S.Lazio è nata), Piazza del Popolo e Ponte Milvio. Belle anche le dichiarazioni a fine gara di mister Petkovic che ha voluto dedicare un pensiero anche all’amarezza della controparte e ha voluto sottolineare che, nonostante il trofeo appena conquistato, non si sente per ciò solo confermato e si professa pronto a mettersi in discussione. Commoventi addirittura quelle del “Tata” Gonzalez che ha voluto ricordare anche quei compagni, come Carrizo, che non sono più in rosa ma che hanno contribuito a che il cammino in coppa della Lazio si trasformasse in cavalcata trionfale (decisivi i due rigori parati a dicembre contro il Siena, diversamente la Coppa Italia laziale sarebbe finita lì). Sibillino, invece, Hernanes che non vuole parlare di futuro, se non di quello imminente con la Seleçao in Confederations Cup. Sull’altra sponda del Tevere, la delusione è forte: un secondo anno a mani vuote e fuori dal giro internazionale. Senza voler peccare di catastrofismo e viste le premesse estive, un fallimento senza se e senza ma. Ammesso anche da Baldini, le cui assunzioni di responsabilità fanno onore alla persona ma non si capisce mai a quale conclusione possano portare. Se non ad un cambio di panchina, per cui a pagare per tutti rischia di essere il solo Andreazzoli, pur artefice di una rimonta straordinaria in campionato ma con Allegri che incalza. Berlusconi permettendo perché avrebbe potuto cambiare idea. E questo è grave. Perché è inammissibile che una società con ambizioni come quelle sbandierate dagli americani sia condizionata nelle sue scelte tecniche da decisioni altrui. Ennesimo segnale che più di qualcosa non quadra. Sul fronte sicurezza, c’è da registrare con soddisfazione l’assenza totale di scontri tra tifoserie e tra queste e le forze dell’ordine. Uniche note stonate: un ritrovamento sotto il Ponte Duca d’Aosta, prima della partita, di due sacche colme di armi. Un arsenale. Pazzesco. E, dopo la gara, duecento tifosi giallorossi che, inferociti, hanno atteso a Trigoria il pullman dei loro beniamini(?) per farne oggetto di lancio di uova e sassi. Per chiudere, infine, riportiamo le promesse di Lotito: “Costruirò una Lazio grande anche per essere competitivi in Europa”. Vogliamo credergli? Ma sì, in una giornata di festa, si perdona tutto e va bene tutto.
D.P.
Napoletano, 44 anni, giornalista professionista con 17 anni di esperienza sia come giornalista che come consulente in comunicazione. Ha scritto di politica ed economia, sia nazionale che locale per diversi giornali napoletani. Da ultimo da direttore responsabile, ha fatto nascere una nuova televcisione locale in Calabria. Come esperto, ha seguito la comunicazione di aziende, consorzi, enti no profit e politici. Da sempre accanito utilizzatore di computer, da anni si interessa di internet e da tempo ne ha intuito le immense potenzialità proprio per l'editoria e l'informazione.
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