Oggi si celebra la Giornata internazionale della donna e quindi i treni non passano, le metro chiudono, si sciopera negli ospedali e nelle scuole. Se vi sfugge perché, per dare prova del valore della componente femminile nella società si debba fermare una città state tranquilli, non siete gli unici. Proviamo allora a spiegare i motivi per cui questa importante e significativa giornata poteva forse essere affrontata dall’Italia in modo diverso.
La protesta di oggi è prima di tutto un evento internazionale, lanciato in Argentina e da Women’s March, il movimento americano responsabile ad esempio delle sollevazioni contro il presidente Donald Trump. Allo “sciopero globale” hanno poi aderito migliaia di associazioni che lottano quotidianamente per la causa femminile in più di 40 Paesi del mondo. Tra queste, l’italiano “Non una di meno” che ha recentemente lanciato una campagna contro la violenza sulle donne (tema principale anche della giornata di oggi).
Ovviamente non è l’unico: in Italia come nel mondo, si protesta contro la diseguaglianza di genere, che si traduce in differenze salariali e di retribuzione, mobing sul posto di lavoro, molestie ma anche in pressioni psicologiche meno evidenti, anche se non per questo meno pesanti. Pressioni che condizionano la vita femminile e che non permettono alle donne, troppo spesso costrette a scegliere tra famiglia e carriera, di sfondare il famoso “soffitto di vetro” e di ricoprire ruoli di potere se non al prezzo di grandissimi sacrifici.
Le novità importanti di quest’anno sono due. La prima è l‘adesione dei Centri Antiviolenza che si scagliano contro l’emendamento contenuto all’interno della Legge di Stabilità 2015, che di fatto obbliga le donne che decidono di rivolgersi al pronto soccorso dopo aver subìto una violenza, ad avviare un percorso giudiziario. Secondo molte associazioni infatti, questa regola spingerebbe le donne a desistere anche a rivolgersi al personale medico, dal momento che molte di loro sono in molti casi in uno stato di dipendenza psicologica e quindi sono riluttanti a denunciare subito il loro aggressore.
Le scioperanti scendono in piazza anche per chiedere la piena applicazione della Convenzione di Istanbul, ratificata dal Consiglio d’Europa contro la violenza sulle donne e la violenza domestica, firmata nel 2012 da 32 Paesi e approvata all’unanimità dal Parlamento italiano nel 2013.
Tutto bene dunque? In termini di motivazioni, assolutamente sì. Sui modi in cui l’Italia ha deciso di aderire alla protesta vale però la pena di spendere qualche parola in più. Il segnale alla base della manifestazione che coinvolge Roma, Milano e tante altre città sul suolo nazionale è chiaro ed è sintetizzato dallo slogan: “Se le nostre vite non valgono, noi ci fermiamo!”. In sostanza: se le esigenze delle donne non sono importanti, vi facciamo vedere cosa si prova a stare un giorno senza di noi. E allora via: le donne non lavorano e non fanno acquisti per 24 ore. Cristallino no? No. In primo luogo, in questo tipo di approccio s’intravede un conflitto latente, una contrapposizione tra “loro” (gli uomini, la società) e “noi” (le donne, le emarginate, coloro che stanno fuori), che non fa altro che “ghettizzare” una lotta che invece dovrebbe inserirsi all’interno della società stessa, non ai suoi margini. Un po’ come una bambina che dal basso dà uno strattone al cappotto del papà per avere attenzione.
Lungi da noi sminuire l’importanza del diritto di sciopero e la sua valenza in termini di protesta. Così come non intendiamo in nessun caso entrare nel merito delle singole adesioni, frutto di una scelta personale e portate avanti in virtù di una lotta, quella contro la disuguaglianza di genere, giusta e sacrosanta. Ma siamo veramente sicuri che ad esempio, un corteo di “pentole, cucchiai, mestoli coperchi e altri utensili simili” per “far esplodere la piazza in un “chiassoso dissenso” come avverrà questa sera a Milano in Piazza Duca D’Aosta, sia più utile di discussioni su singoli temi, corsi di formazione o di autodifesa personale come quelli che si svolgeranno negli Stati Uniti?
La Women’s March ha chiesto ai sostenitori uomini della propria causa di occuparsi da soli delle faccende domestiche e della cura della famiglia e di parlare ai propri datori di lavoro e ai propri colleghi dell’importanza delle regole sul posto di lavoro che aiutano le famiglie in cui entrambi i genitori lavorano. Anche in Italia ci saranno degli incontri ma siamo comunque molto lontano dal modello d’Oltreoceano. Senza contare che lo sciopero dei mezzi pubblici mina anche l’efficacia dei cortei e dei bagni di folla perché rende più difficile raggiungere il luogo di ritrovo per chi, ad esempio, viene da fuori e vuole aderire alla protesta.
E le scuole? Anche qui si dovrebbe entrare nel merito e capire se l’adesione degli insegnanti allo sciopero si tradurrà in un giorno di meno in aula, a scapito degli studenti, o in lezioni mirate volte ad approfondire il tema della lotta femminile e dell’uguaglianza di genere in tutti i suoi aspetti.
L’impressione è che a fianco delle classiche azioni di disturbo e di protesta (cortei, blocchi, manifestazioni) manchi in realtà la componente positiva: quelle azioni portate avanti dalle donne per le donne che invece mirano a fornire un apporto pratico, un’aggiunta alla causa in termini di nuovi strumenti, iniziative e proposte.
Anche il mondo della politica ha espresso le sue perplessità. La sottosegretaria di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri Sesa Amici da sempre sensibile ai temi delle donne ammette ad esempio che “con l’aver deciso lo sciopero dei mezzi pubblici, abbiamo ottenuto un effetto boomerang: il rischio è di aver contribuito a fare dell’8 marzo la giornata in cui si blocca la città e si bloccano le donne nella loro mobilità e possibilità di stare al centro”.
Insomma, le donne possono sì fare la differenza all’interno della società, ma solo se capiscono di farne realmente parte.
Allo sciopero di 24 ore in concomitanza con la festa della donna hanno aderito moltissime sigle sindacali, tra cui Usi, Slai Cobas, Cobas, Confederazione dei Comitati di Base, Usb, Sial Cobas, Usi-Ait, Usb, Sgb, Flc e Cgil. A Roma le metropolitane rimarranno chiuse dalle 8.30 alle 17. Nella Capitale lo sciopero riguarderà anche bus, tram le ferrovie le ferrovie Roma-Civitacastellana-Viterbo e Roma-Lido e le linee periferiche gestite dalla società Roma Tpl. Sono comunque previste delle fasce di garanzia fino alle 8.30 e dalle 17 alle 20. Fermi dalla mezzanotte di ieri anche i treni regionali.
Laurea magistrale in Storia contemporanea presso L'Università degli studi Roma tre. Master di primo livello I mestieri dell’Editoria, istituito da “Laboratorio Gutenberg” di Roma con il patrocinio del Dipartimento di Comunicazione e Ricerca Sociale presso “Università Sapienza di Roma”. Dopo la laurea ho svolto uno stage presso Radio Vaticana, dove ho potuto sperimentare gli infiniti linguaggi della comunicazione.
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