di Dimitri Buffa
I dati del Ministero della Giustizia ci dicono che oltre il 70% delle prescrizioni si determina in fase di indagini preliminari. Con quale onestà intellettuale di fronte a questi dati si chiede l’abolizione dell’appello o la limitazione estrema dei ricorsi per Cassazione?
Risponde il viceministro Enrico Costa dal palco di un convegno delle Camere penali italiane: “Su poco più di un milione e mezzo di casi in dieci anni.. i numeri indicano che nell’ultimo decennio i decreti di archiviazione per prescrizione emessi dai gip sono stati 1.134.259: il 73% del totale. A questi si aggiungono le 63.892 sentenze di avvenuta prescrizione emesse dai Gup. La quota restante è spalmata tra tribunali (209.576), corti d’appello (131.856), Cassazione (3.293) e giudici di pace (9.559).” Ergo? Il 70 per cento delle prescrizioni dichiarate negli ultimi dieci anni (circa 1 milione e mezzo di casi) è avvenuto nella fase preliminare delle indagini. Quando praticamente gli avvocati degli imputati (che in molti casi neanche sanno di esserlo ancora) per così dire quasi “non toccano palla”.
La colpa delle prescrizioni, in pratica, sta tutta nella obbligatorietà (a discrezione del singolo pm) dell’azione penale. E nella totale arbitrarietà con cui è gestito il regime delle iscrizioni a registro indagati. D’altronde si è visto in pillole anche nella polemica tra Robledo e Bruti Liberati a Milano, a proposito dell’esposto dei radicali sulle firme false a sostegno della lista pro Formigoni. Recentemente giunto alla sentenza di primo grado a quasi cinque anni dalla denuncia. Ecco dunque il “convitato di pietra” nella facile e populista diatriba sulla prescrizione che ha seguito la conclusione dell’inchiesta infinita del pm torinese Guariniello sull’Eternit: i numeri e le statistiche fornite proprio da via Arenula: “Tra il 2004 e il 2013, i procedimenti penali chiusi con prescrizione sono stati per l’esattezza 1.552.435. Dal 2004 al 2012 le cifre hanno visto, nel complesso, un decremento: da 219.146 a 113.057.” E quando sono state dichiarate tali prescrizioni, in che fase del processo? “Oltre il 70% delle prescrizioni si determina in fase di indagini preliminari. Un’anomalia – come ha coraggiosamente detto il viceministro Enrico Costa – che non può essere ricondotta ad azioni dilatorie della difesa, ma spesso è legata a un dribbling non dichiarato dell’obbligatorietà dell’azione penale che si traduce in una selezione dei casi da prendere in carico”. In realtà la notizia di per sé non sarebbe tale: già nel 2007 una ricerca dell’Eurispes commissionata sempre dalle Camere penali dell’epoca, eseguita dal centro studi Marongiu di cui era a capo l’avvocato Valerio Spigarelli, che poi qualche anno dopo sarebbe diventato per due mandati consecutivi il presidente dell’Ucpi, era arrivata alle stesse conclusioni. Anzi persino un po’ più favorevoli ai pm e ai gip che lasciano deperire i fascicoli quando stanno nelle loro stanze: l’indagine di allora, infatti, parlava di circa due terzi dei casi. Non di tre quarti come si evince dai dati ministeriali adesso ammessi dal governo. Magari Renzi prima di ricevere e illudere i familiari delle vittime dell’eternit, con la promessa di future leggi che poco entrano con la loro disgrazia giudiziaria, avrebbe dovuto conoscere i dati snocciolati da Costa al convegno dell’Ucpi. E sia lui sia il ministro Orlando dovrebbero avere il coraggio di andare dai sindacalisti dell’Anm e ricordare loro che “solo nel 2013 sono state 123.078 – 10mila in più rispetto all’anno precedente – le prescrizioni di reato registrate” e che “anche nel 2013 la maggioranza delle prescrizioni è sopraggiunta durante le indagini preliminari: sono stati infatti 72.110 i decreti di archiviazione del gip”. Dimitri Buffa
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