Il 24 novembre ricorre il sesto anniversario della scomparsa di Lea Garofalo, vittima della ‘Ndrangheta, uccisa dal suo ex-compagno, Carlo Cosco, boss del clan milanese. Alla sua storia è ispirato il film per la Tv di Marco Tullio Giordana, Lea, presentato in anteprima oggi al Roma Fiction Fest.
Lea apre la manifestazione romana dedicata alla fiction portando sullo schermo una storia di libertà e ribellione ad un sistema violento e criminale e ad una cultura fortemente repressiva nei confronti della donna. “Volevamo fare un film che non parlasse di vittime e di eroi.” racconta il regista, che, dopo aver diretto nel 2000 100 passi, non è nuovo a trattare l’argomento delle mafie , “La storia di Lea e di sua figlia Denise era già in se stessa sufficientemente ricca di colpi di scena, incredibile e significativa”.
La fiction andrà in onda mercoledì 18 novembre su Rai 1, ma costituirà anche un significativo contributo al lavoro dell’associazione Libera di don Ciotti, che potrà utilizzarla come documento divulgativo e formativo soprattutto nelle scuole. E in effetti, spiega ancora Giordana, “senza il sostegno e l’approvazione di Libera non avrei nemmeno considerato la possibilità di realizzare un film sulla storia di Lea“.
Per realizzare questo film Giordana e la sceneggiatrice, Monica Zapelli, sono ricorsi soprattutto al copioso materiale investigativo e processuale sull’omicidio di Lea Giordana. Lea ripercorre la storia della protagonista sin dall’infanzia, quando questa vide il padre ucciso sotto i suoi occhi dalla criminalità calabrese. La sua storia è quella di una donna che con coraggio e per amore della figlia sceglie di ribellarsi al sistema criminale in cui suo fratello e il suo compagno sono direttamente coinvolti. Collaborando con la giustizia Lea si condanna ad una vita nascosta e in continua fuga, fino a quando, per inspiegabili contraddizioni burocratiche, il programma di protezione le viene revocato e Lea è costretta a ritornare in Calabria riavvicinandosi così all’ex compagno e padre di sua figlia Denise.
Nel corso della sua vicenda Lea venne a contatto anche con don Ciotti e l’associazione Libera. “Ho una grande ammirazione per il lavoro svolto da don Ciotti.” dice Giordana “Si tratta di un sacerdote privo divanità e il suo è un lavoro importante e straordinario soprattutto perché indipendente. Le mafie di fatto si preoccupano molto di inquirenti, magistrati e forze dell’ordine, ma non si rendono conto della forza che la cultura e dell’impatto che libri e film possono avere sul modo di pensare delle persone“.
Il film non si sofferma però sulle vicende della criminilità, ma piuttosto sul coraggio, molto umano e semplice, di Lea e sul suo rapporto con la figlia Denise che ha ereditato il duro destino della madre. Alla forza e al legame d’amore della figlia con la madre, anche dopo la sua scomparsa, è dedicata tutta la seconda parte del film. Denise infatti decide di non credere a quanto gli racconta il padre, sa che sua madre non può averla abbandonata e, come lei, sceglie di collaborare con la giustizia per scoprire la verità, anche se questo le costerà molto e metterà a dura prova la sua giovane vita.
Nonostante l’esito del processo alla fine abbia fatto chiarezza sulla verità della vicenda, oggi Denise vive sotto un programma di protezione strettissimo e non è stato possibile a nessun membro del cast avere rapporti con lei. Tuttavia è a conoscenza del film ed ha avuto modo di esprimere il suo favore, soprattutto nei confronti del regista che conosceva e già apprezzava per il suo precedente lavoro, 100 passi. Un film che la madre Lea le aveva a suo tempo fatto vedere.
Vania Amitrano
Laureata in Lettere, amante dell’arte, dello spettacolo e delle scienze umane, autrice di testi di critica cinematografica e televisiva. Ha insegnato nella scuola pubblica e privata; da anni scrive ed esplora con passione le sconfinate possibilità della comunicazione nel web.
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