Si complica enormemente “l’affaire” Libia. Le indagini giornalistiche che darebbero la Francia di Macron dietro l’ultima offensiva del generale Haftar contro il presidente libico riconosciuto dall’UE Sarraj, sta rendendo drammatico il quadro della guerra civile tra i due leader che oggi si contendono l’eredità di Gheddafi. Dopo l’abbattimento del regime di quest’ultimo la Libia ha conosciuto, infatti, una graduale disgregazione dell’unità nazionale oggi divisa tra Cirenaica e Tripolitania. La prima sostenuta dall’Egitto di AL Sisi e dalla Francia di Sarkozy e Hollande prima e Macron oggi, la seconda sostenuta dall’Italia e dall’UE, con gli americani in sostanziale posizione di neutralità.
Ma le accuse nei confronti dei francesi i quali hanno manifestato sempre grande interesse alla destabilizzazione di un Paese nel quale gli interessi italiani sono enormi, non sono di queste ore. E’ noto a tutti infatti che nel 2011 la rivolta anti Gheddafi, sostenuta apertamente con armi e mezzi dai francesi, fu scatenata proprio da Sarkozy che in questo gioco al massacro seppe avvalersi, purtroppo, anche dell’appoggio del Presidente della Repubblica italiana Giorgio Napolitano.
Oggi comunque l’Eliseo è più che mai intenzionato in aperto contrasto con le più che manifeste iniziative di appoggio verso Haftar, a tenere lontano da sè il sospetto di voler scatenare in Libia una guerra civile dagli imprevedibili effetti su tutta l’area del Mediterraneo.
“Come i nostri partner, parliamo con tutte le parti del conflitto in Libia, al fine di ottenere un cessate il fuoco. Non siamo mai stati avvisati di un’offensiva su Tripoli, che abbiamo condannato sin dal suo inizio”, ha detto oggi un portavoce del ministero degli Esteri francese rispondendo così alla domanda sulle indiscrezioni del giornale la Repubblica secondo cui emissari di Khalifa Haftar sarebbero stati ricevuti il 4 aprile scorso a Parigi, poco prima dell’inizio dell’offensiva su Tripoli.
Intanto l’Italia non sta a guardare ed oggi pomeriggio convocato dal premier Giuseppe Conte a Palazzo Chigi si terrà un vertice sulla Libia. Alla riunione, a quanto si apprende, è prevista la presenza del ministro degli Esteri Enzo Moavero e del ministro della Difesa Elisabetta Trenta.
Nel frattempo a Tripoli, armi al piede, e venerdì di preghiera si attendono gli sviluppi della situazione: un traffico sonnolento ma intenso anima le arterie della capitale, dove non si notano schieramenti di forze militari o checkpoint, almeno nelle zone centrali. Nel pomeriggio è prevista una imponente manifestazione in piazza dei Martiri (la ex piazza Verde del regime), contro “l’invasione”. “Siamo tutti Tripoli”, recita lo slogan. Intanto, secondo fonti sul campo, le forze di Khalifa Haftar hanno bombardato dal cielo un compound delle milizie fedeli al governo di unità nei pressi di Zuara, circa 108 km a ovest della capitale. Non si ha al momento notizia di vittime.
Le prime schermaglie della guerra civile hanno provocato la fuga di almeno 9.500 persone dalle proprie case dall’inizio del conflitto armato a Tripoli e dintorni. Lo scrive l’Ufficio delle Nazioni Unite per gli Affari umanitari (Ocha) in un “aggiornamento flash” sulla situazione nei dintorni della capitale, precisando che 3.500 sono gli sfollati solo nelle ultime 24 ore. “La comunità umanitaria rimane gravemente preoccupata per la sicurezza e la sicurezza dei civili bloccati nelle aree colpite dal conflitto alla periferia di Tripoli”, si legge nella nota, nella quale si segnala che “le richiesta di evacuazione in zone più sicure a Tripoli di almeno 3.250 persone non hanno potuto ricevere risposta. Ciò significa che 9 famiglie su 10 che hanno chiesto di essere evacuate non possono essere raggiunte”. La comunità internazionale continua a chiedere una tregua umanitaria temporanea per consentire la fornitura di servizi di emergenza e il passaggio volontario di civili, compresi quelli feriti, da aree di conflitto.
La nuova chiamata alle armi di Haftar sta, comunque, di fatto pregiudicando i faticosi sforzi per stabilizzare il paese, sotto l’egida dell’Onu. L’Italia non abbandonerà il campo, mantenendo operativi l’ambasciata e il personale militare, ha chiarito Conte a Montecitorio, invocando allo stesso tempo un rapido “cessate il fuoco” e la ripresa del dialogo tra le parti perché la “soluzione politica è l’unica sostenibile”. Su questo fronte, lo stesso Conte si sta spendendo in prima persona: in questi giorni di crisi il premier ha parlato direttamente con il premier Sarraj e nei giorni scorsi ha incontrato anche un emissario di Haftar. Perché l’Italia, ha rivendicato Conte, “è tra i pochi Paesi a poter credibilmente interloquire con tutti i principali attori in Libia”. Avendo investito come pochi altri sul dossier, fino a favorire un faccia a faccia tra Sarraj e Haftar alla conferenza internazionale di Palermo a novembre. Da quel vertice, però, sembra passato un secolo, tanto che la conferenza di riconciliazione nazionale che si sarebbe dovuta svolgere in questi giorni è stata rinviata a data da destinarsi. E se nessuno, da Mosca, Parigi, Il Cairo o Riad, chiederà ad Haftar di fermarsi, la strada per la pacificazione sarà ancora lunga.
Ma la linea dei francesi ha provocato la dura reazione di Matteo Salvini, che ha avvertito: “se giocano alla guerra, non starò a guardare”. E anche Giuseppe Conte, alla Camera, ha ammesso che l’escalation militare è motivo di “grande preoccupazione” per l’Italia. Nel pieno dell’offensiva dell’uomo forte della Cirenaica per strappare Tripoli al premier Sarraj, si è consumato un nuovo strappo tra le diplomazie europee. Parigi durante il Vertice Ue aveva bloccato il testo iniziale della dichiarazione in cui si chiedeva ad Haftar di fermarsi, proprio per il riferimento diretto della condanna al generale. Questa circostanza è stata smentita dal portavoce del ministero degli Esteri francese, ma Italia e Svezia hanno presentato alcuni emendamenti, sostenute anche da Germania, Regno Unito e Olanda, che hanno prodotto un nuovo documento, approvato infine dai 28. Nel testo, si avverte che l’attacco lanciato dalla forze di Haftar “mette in pericolo civili e blocca il processo politico”. Ma allo stesso tempo si chiede a “tutte le parti di fermare immediatamente le operazioni militari”, quindi anche le milizie che fanno capo al governo di Tripoli.
E.R.
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