A Sirte, accanto alle brigate di Tripoli e Misurata impegnate nell’assedio contro i jihadisti dell’ISIS, sono presenti anche truppe speciali italiane. Sono incaricate di assistere i miliziani fedeli al governo di unità nazionale di Fayez al-Sarraj in un compito cruciale: sminare e bonificare il terreno.
Lo scrive Vincenzo Nigro in un reportage pubblicato su Repubblica.it. “I racconti sembrano convincenti”, nota: ”I soldati italiani hanno portato a Misurata e Sirte gli equipaggiamenti per sminare, e stanno lavorando sul terreno con i libici”.
Gli italiani operano “insieme a inglesi e americani”, riferisce un comandante delle brigate, “e preferiscono lavorare in silenzio”, senza parlare con la stampa. In effetti Roma non ha mai confermato in via ufficiale la presenza delle nostre forze speciali in Libia: un’ammissione, rigorosamente priva commenti, arriva solo da fonti della Difesa rimaste anonime. Ancora tre giorni fa il viceministro degli Esteri Mario Giro definiva quella di Sirte un’operazione di “polizia internazionale su un obiettivo preciso”.
Secondo la ricostruzione di Nigro, gli italiani sarebbero stati schierati prima a Tripoli, per consentire agli agenti dei servizi di intelligence di operare in sicurezza; poi sarebbero passati per Benina – la principale base aerea del generale Khalifa Haftar, in Cirenaica – e infine sarebbero stati schierati a Misurata.
Dal punto di vista strategico, l’operazione al-Bunyan al-Marsous (“Struttura solida”) sta mietendo un successo dopo l’altro. Ieri il comando operativo della missione ha annunciato la conquista del Centro congressi Ouagadougou, l’ex quartier generale dei jihadisti. Ma il prezzo pagato dalle brigate filogovernative è caro: da maggio scorso hanno lasciato sul campo più di trecento morti e circa tremila feriti.
Molti di loro sono saltati sulle mine e sulle altre trappole lasciate durante la ritirata dai miliziani dell’ISIS.
Taraq Ismail, un chirurgo libico che vive in Inghilterra, torna in Libia appena può per lavorare nell’ospedale di Misurata. Manca tutto: dalle ambulanze al personale, ai farmaci, ai reagenti, fino ai fondi per comprarle. “Abbiamo solo il nostro orgoglio”, riferisce il medico, “ci manca il vostro sostegno vero, concreto”. A maggio, racconta Ismail, arrivavano soprattutto i feriti degli attentati dinamitardi. Ma adesso “il grande nemico sono i cecchini e le bombe”.
“I terroristi sono micidiali nel costruire le bombe”, continua il racconto. “Le nascondono dappertutto: nelle case le stiamo trovando sotto i materassi, dietro le porte, dentro gli estintori”.
Come racconta Lorenzo Cremonesi, che ha passato tre notti al fronte con i miliziani, il momento critico è proprio dopo il tramonto:
Ogni sera, con l’arrivo del buio, è ricomparso quel sottile sentimento di ignoto, l’apprensione di fronte alle forme degli edifici vicini e lontani che via via svaniscono, l’impressione che il viottolo dove eravamo passati avanti e indietro per tutta la giornata sino a poco prima in totale sicurezza potesse tornare da un momento all’altro terreno di battaglia.
“È proprio di notte che Isis depone sul terreno le sue cariche esplosive artigianali”. A parlare sono gli esperti di Libyan Mine Action, un’agenzia gestita dal governo di Tripoli.
Le abbiamo scoperte nei punti più critici, ma anche in quelli più impensati. Per esempio sulla spiaggia di Sirte oppure vicino agli alberi da frutta. Variano per forma e potenza. Da poche decine di grammi di dinamite appena sufficienti a maciullare le gambe di un uomo, a oltre cinquanta chili in grado di distruggere un carro armato, sventrare qualsiasi blindato.
Secondo quanto riferisce Cremonesi, l’incontro con gli esponenti di Libyan Mine Action è avvenuto all’alba, lungo la strada che porta all’ospedale Ibn Sina (il nome arabo del medico-filosofo medievale anche noto come Avicenna). Ma l’ospedale resta ancora nelle mani dell’ISIS.
Giornalista per caso. Anni di ufficio stampa in pubbliche istituzioni, dove si legge e si scrive solo su precisi argomenti e seguendo ferree indicazioni. Poi, l'opportunità di iniziare veramente a scrivere. Di cosa? di tutto un po', convinta, e sempre di più, che informare correttamente è un servizio utile, in certi casi indispensabile.
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