Gli USA sono pronti a intervenire in Libia in tempi brevi e vorrebbero coinvolgere l’Italia. Come anticipava giorni fa il New York Times, oggi il Pentagono ha confermato di stare studiando anche le “opzioni militari” per affrontare la “seria minaccia” dell’ISIS.
“Paesi come l’Italia hanno esperienza in quella parte del mondo”, aveva detto ieri sera Josh Earnest, portavoce della Casa bianca. “E noi attingeremmo alle loro risorse, le loro capacità, per portare avanti i nostri obiettivi in quella regione”. Intanto il presidente Barack Obama ha convocato il Consiglio per la sicurezza nazionale per discutere gli sviluppi della strategia contro il sedicente califfato.
Martedì 2 febbraio si terrà a Roma un vertice ministeriale della coalizione globale contro i jihadisti. “Vogliamo essere pronti nel caso in cui l’ISIS in Libia diventi una minaccia più seria di quanto già sia ora”, ha detto il portavoce del Pentagono Peter Cook. Sul territorio del paese nordafricano, denuncia il segretario alla Difesa Ash Carter, le truppe fedeli al “califfo” Abu Bakr al-Baghdadi hanno allestito campi d’addestramento simili a quelli già presenti in Iraq e in Siria.
“Non possiamo immaginarci di far passare la primavera con una situazione libica ancora in stallo”, ha dichiarato il ministro della Difesa italiano, Roberta Pinotti, al Corriere della Sera. Ma “siamo tutti d’accordo – prosegue – che occorre evitare azioni non coordinate, che in passato non hanno prodotto buoni risultati”.
Lo scenario libico, spiegano gli esperti, si può scomporre in due questioni principali: il contrasto all’ISIS e la costituzione di un governo nazionale unico. Gli USA sono più interessati alla prima, l’Italia alla seconda. Da vicino, infatti, si sentono di più le conseguenze dell’anarchia in cui è precipitata la Libia: traffico di esseri umani, contrabbando di armi e droga, rischio terrorismo.
L’Italia può contare sul sostegno dell’ONU, che ha messo in campo Martin Kobler come negoziatore fra i due governi rivali. Ma la strada verso il governo di unità nazionale è irta di ostacoli, e non è scontato che raggiunga l’obiettivo, a maggior ragione dopo che la Camera dei rappresentanti di Tobruk – l’organo legislativo riconosciuto dalla comunità internazionale – ha bocciato la lista di ministri approvata dai negoziatori a Tunisi e guidata da Fayez al-Sarraj. E se gli USA decidessero di intervenire sul campo senza aspettare la formazione di un governo, con il sostegno britannico – USA e Regno Unito hanno già iniziato a schierare le forze speciali in Libia – e francese, l’Italia sarebbe costretta a partecipare a condizioni dettate dagli altri.
“Londra e Parigi impiegherebbero aerei e commandos. Sembra però difficile che possano riuscire senza l’apporto di forze locali e un supporto da parte italiana. Forse lo avranno, perché la nostra paura di restar fuori è più forte del nostro interesse a vederli fallire”, commenta Germano Dottori, docente di Studi strategici all’università LUISS di Roma.
“Più si ritarda la nascita del governo Sarraj – spiega Gianandrea Gaiani, direttore di Analisidifesa.it – più è probabile che gli alleati passino all’azione insieme alle forze di Tobruk”. Ma così verrebbe meno “ogni possibilità di accordo nazionale e di missione ONU”.
A quel punto si ripeterebbe lo scenario del 2011, con l’Italia messa all’angolo e costretta obtorto collo ad accodarsi a un intervento contrario ai nostri interessi nazionali, magari limitandosi a fornire agli alleati le nostre basi aeree siciliane e supporto logistico con ricognizioni e rifornimenti in volo.
Nel frattempo Tobruk non sta certo a guardare. Ieri il generale Khalifa Haftar, comandante in capo dell’esercito libico – come si sono ribattezzate le milizie che sostengono il governo insediato in Cirenaica – ha guidato la missione di un gruppo di esponenti libici al Cairo. Massimo riserbo sui temi affrontati, ma il presidente egiziano Abdul Fattah al-Sisi è lo sponsor numero uno di Haftar, che considera utile per combattere i jihadisti libici – ed evitare che si saldino a quelli egiziani – e per proteggere la frontiera occidentale dell’Egitto.
F.M.R.
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