L’ISIS ha raso al suolo il monastero di Sant’Elia a Mosul (in arabo Deir Mar Elia), il più antico in Iraq. Lo attestano le foto pubblicate dall’agenzia AP. I jihadisti hanno ridotto in polvere un’altra testimonianza della ricchezza culturale e religiosa del Medio Oriente.
La distruzione risale al 27 o 28 settembre 2014, pochi giorni dopo l’ingresso dei jihadisti in città, ma l’AP è riuscita ad accertarla soltanto adesso. L’agenzia ha incaricato Digital Globe di scattare foto satellitari ad alta risoluzione del sito e confrontarle con quelle degli anni precedenti.
Secondo l’analista Stephen Wood, CEO di Allsource Analysis, “le mura di pietra sono state letteralmente polverizzate”. Per distruggerle si sono usati bulldozer, strumenti pesanti e “forse esplosivi”. E ora “non c’è più niente da ricostruire”.
La struttura prendeva il nome dal monaco cristiano assiro che l’aveva fondata, tra gli anni 582 e 590 dopo Cristo, su una collina da dove si domina la città. Abbandonato dal 1743, dopo la strage di 150 monaci ordinata da un generale persiano, era ancora meta di pellegrinaggi da parte dei cristiani iracheni, soprattutto di confessione caldea.
Negli ultimi secoli, era stato danneggiato varie volte da eserciti attirati dalla sua posizione strategica. Gli ultimi atti di vandalismo li aveva commessi la 101° divisione aviotrasportata dell’esercito USA, che a loro volta l’avevano strappato alle truppe di Saddam Hussein, durante la seconda guerra del Golfo. Ma dopo la denuncia di un cappellano militare, gli occupanti americani avevano scoperto il valore archeologico del monastero e si erano incaricati dei restauri, interrotti e vanificati all’arrivo dell’ISIS.
Sant’Elia era un punto di riferimento per i cristiani iracheni: nel 2003, all’inizio dell’invasione americana, la comunità contava un milione e 300 mila fedeli, oggi ridotti a poche centinaia di migliaia. È stato proprio il suo valore di simbolo del pluralismo culturale e religioso a costargli tanto caro. L’ISIS tenta da sempre di cancellare la storia e la cultura dei luoghi che occupa, distruggendo tutti i reperti che non si riescono a vendere oltreconfine, per sostituirli con un pensiero unico jihadista che si oppone con tutte le forze a qualsiasi espressione di particolarità locali. La scure cade anche su quelle di origine islamica, sistematicamente e tendenziosamente accusate di eresia. E le particolarità locali sono ricchissime in Iraq e Siria, paesi-mosaico di comunità divise da lingue, religioni, usi e costumi fin dai tempi dell’impero ottomano.
In Iraq, denuncia l’UNESCO, sono finiti nelle mani dei miliziani con la bandiera nera circa duemila siti d’interesse culturale, sui 12 mila censiti in tutto il territorio nazionale. A Mosul, oltre alle rovine di Ninive – capitale di uno dei più antichi imperi al mondo, quello assiro – sono stati distrutti il mausoleo di san Giorgio e la tomba di Seth, meta di pellegrinaggi da parte di ebrei, cristiani e musulmani. Non è andata meglio in Siria, come si ricorderà a proposito degli scempi fatti a Palmira e della brutale esecuzione lo scorso agosto di Khaled Asaad, l’ex direttore del sito. Pochi giorni dopo i miliziani annunciarono di aver distrutto il monastero di Mar Elian, anche quello costruito circa 1500 anni fa nella Siria centrale.
F.M.R.
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