Mentre proseguono le piogge, soprattutto al nord dove il Ticino è esondato intorno a Pavia e il Po continua a gonfiarsi, ieri un tratto di 30 metri della Torino-Savona (A6) ha ceduto sotto il peso di un fiume di fango in caduta mentre sull’A21, in Piemonte, si è aperta una voragine che solo per miracolo non ha inghiottito una vettura.
Fa sempre più paura il maltempo che sta attraversando l’Italia, con l’allerta rosso che oggi si è spostato in Emilia. Ma fanno ancora più paura le infrastrutture sulle quali le macchine scorrono ogni giorno a centinaia e delle quali quasi mai si conosce lo stato di manutenzione se non a posteriori. Dopo che la disgrazia è successa.
Poco più di un anno fa il crollo del ponte Morandi, a Genova, provocò 43 morti e 566 sfollati. Il viadotto autostradale riuscì a resistere dal 1967, quando fu terminato il 31 luglio, fino alla vigilia di ferragosto del 2018. Già dai primi anni aveva mostrato problemi strutturali e di obsolescenza precoce, poi nel 2006 l’architetto Calatrava propose di demolirlo. Invece è rimasto lì per oltre una decina d’anni ancora, peraltro caricato da un traffico notevolmente superiore a quello previsto dal progetto. Gli studi sulle strutture avevano rafforzato le attività manutentive, ma ciò non è bastato a scongiurare la disgrazia che ha anche tagliato la città di Genova in due. Solo a posteriori, però, dalla Nasa si è venuti a conoscenza che fin dal 2015 il viadotto aveva cominciato a deformarsi in modo anomalo e significativo, mentre ancora più recentemente – qualche giorno fa – è emerso anche che nel 2014 i sensori tranciati in seguito a lavori di manutenzione sulla carreggiata. Sensori mai sostituiti, con la totale impossibilità quindi negli anni a seguire di poter rilevare lo stato reale della struttura. A rischio crollo, ripetiamo, dal 2014 con tanto di documento che lo denunciava.
Oggi tocca alla ministra delle Infrastrutture Paola De Micheli recarsi sul posto degli ultimi cedimenti, quelli del lungo tratto A6. E pensare che due anni fa il consigliere regionale dei 5 Stelle Andrea Melis aveva presentato un’interrogazione sullo stato dei ponti della Torino-Savona dopo che erano rimbalzate via social le foto di piloni corrosi dalla ruggine. Autostrada dei Fiori allora replicò garantendo la massima sicurezza: “Dal 2013 investiti sulla tratta 280 milioni e posizionati sensori di movimento sui viadotti. Non sono mai stati segnalati pericoli”. Possiamo continuare ad affidare, si chiede qualcuno, il nostro destino a Giovanni Nepomuceno, il patrono della Boemia protettore dalle frane e dalle alluvioni? Oppure dobbiamo dare credito alle parole del ministro degli Esteri, Luigi Di Maio che sul crollo dei viadotto dell’A6 ha detto: “Basta licenze ai concessionari che non fanno manutenzione”. Stavolta i concessionari non sono i Benetton, “questo – sottolinea Di Maio continua ad avvalorare la nostra tesi che questi concessionari che non manutengono ponti e strade non devono avere più concessioni”.
Stavolta il bilancio non è apocalittico come un anno fa a Genova, ma solo per un puro miracolo. Quel che è certo è che con i cambiamenti climatici sempre più pronunciati il tempo per correre ai ripari è sempre più breve. Se la natura inclemente stavolta non ha fatto vittime, ciò non toglie che dalle “belle parole” di revoca concessioni e via di seguito si deve passare all’azione. “Abbiamo una macchina pubblica che potrebbe essere all’altezza delle sfide – ricorda Paragone, senatore M5S – ma una classe dirigente che non lo è. Al momento quindi sono solo belle parole (quelle di Di Maio, ndr) perché abbiamo la famiglia Benetton che propone il taglio del 5% dei pedaggi all’anno e il governo che balbetta qualcosa. Ci sono imprenditori che aspettano crediti dalla pubblica amministrazione. Il decreto per pagarglieli quando verrà fatto?”
Da una parte la natura, i cambiamenti climatici, le calamità. Dall’altra l’uomo. L’uomo qualunque che, come spiegano gli esperti, in molti casi non ha saputo difendere il terreno fragile a rischio frane, come quello Ligure, con i terrazzamenti che scavano in piano le parti collinari impedendo alla terra di franare a valle. L’uomo al governo – giallo, rosso, verde – cui poco si occupa delle infrastrutture, vecchie e nuove, preso com’è a trovare la quadra sugli argomenti anche meno importanti ed impellenti, pur di andare avanti fino al 2023.
A.B.
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