Missione compiuta. Vittoria più il bonus per aver realizzato quattro mete. L’Italia del rugby si porta, così, a quota 10 punti nel suo girone e tiene ancora vive le speranze di agguantare una storica ( sarebbe, infatti, la prima volta nella storia della palla ovale azzurra ai Mondiali) qualificazione ai quarti di finale della massima rassegna mondiale.
Decisiva, come già avvenuto nel 2003 ( venimmo sconfitti dal Galles) e nel 2007 ( a spezzarci i sogni di gloria fu, allora, la Scozia), l’ultima gara, in programma domenica ( alle 9.30 italiane) contro l’Irlanda. Il 27-10 con cui gli azzurri hanno superato le “Eagles” statunitensi non deve, però, far pensare ad una passeggiata di salute. La partita, pur iniziata sotto i migliori auspici grazie alla meta in apertura ( al 3’) di capitan Parisse, è stata molto difficile anche perché il valore del 15 nordamericano è esponenzialmente superiore a quello dei più malleabili “Orsi” russi, asfaltati in precedenza con un eloquente 53-17. E non si è trattato di una prestazione scevra da errori, quella dei nostri. Le consuete amnesie dietro e la difficoltà a tradurre in punti una superiorità nel possesso dell’ovale, apparsa, a tratti, anche netta. Il tutto, unito agli indubbi meriti degli USA, ha contribuito a tenere in bilico se non addirittura il punteggio, quantomeno il discorso-bonus. Per contro, ottimo, come sempre, il nostro pacchetto di mischia, ormai tra i migliori al mondo. Non è un’Italia spettacolare, questa del Ct Mallett, non ruba l’occhio, non dà vita a grandi aperture, ma è pratica. Molto. E, se c’è da ottenere un risultato, l’obiettivo lo centra. Contro gli USA faticando e ottenendo la meta tecnica che è valsa quel punticino in più solo al 27’ del secondo tempo. Ma è un punto che, nell’economia del nostro torneo, pesa come un macigno. Mettendo, peraltro, in mostra un sontuoso Martin Castrogiovanni, eletto a fine gara “man of the match”, per la prima volta in tre partecipazioni ad un Mondiale, ma da anni tra i migliori interpreti in assoluto del ruolo in prima linea ( non si vince, come ha fatto lui nel 2007, il titolo di Mvp del campionato inglese per caso), autore di una meta in proprio ( non gli capitava, in azzurro, dal 2008 e, essendo arrivato a quota 11 in carriera, diventa il più prolifico prima linea italiano di sempre ) e una in condominio con i compagni di reparto (fondamentale il suo apporto per la meta tecnica del bonus), ma, soprattutto, una costante spina nel fianco per gli americani fino al termine della sua partita ( al 32’ del secondo tempo, Mallett l’ha richiamato in panca per farlo riposare e concedere uno scampolo di gara anche a Perugini). “Sono contento del riconoscimento personale, ma ciò che più conta è esser riusciti ad ottenere i cinque punti. Se a Dunedin ( contro l’Irlanda) dovessi fornire una pessima prestazione, ma la squadra dovesse vincere, sarei contentissimo ugualmente”, le parole del barbuto prima linea. E, a proposito del modesto utilizzo delle aperture alla mano, in favore delle mischie, il Ct, Mallett ha le idee piuttosto chiare: “Criticarci perché utilizziamo troppo la mischia è assurdo. Sarebbe come criticare i neozelandesi per un uso eccessivo dei trequarti. E’ il nostro miglior reparto e non vedo perché non dovrei puntarci.” La sensazione diffusa ( la certezza, sarebbe più opportuno dire) è che contro i Verdi, la prestazione fornita contro gli USA non sarebbe sufficiente. Da evitare gli svarioni difensivi, da migliorare le percentuali di realizzazione con i calci piazzati ( contro gli USA, Mirco Bergamasco ne ha messi a segno 3 su 5, ndr), da evitare di soffrire troppo in touche ( uno dei punti di forza maggiori degli irlandesi), da tradurre in meta il volume di gioco prodotto con la mischia. E poi, ovviamente, sperare che la magnifica mediana irlandese, composta da Sexton e O’Gara, non sia in giornata di grazia e che i trequarti avversari ( altra nota lieta in casa celtica), O’Driscoll, D’Arcy, Bowe e Kearney, possano essere contenuti al meglio. Soprattutto, Brian O’Driscoll, un tipo che, quando una partita conta, la differenza la sa fare come pochi. I nostri tre successi nei confronti diretti con l’Irlanda risalgono al triennio 1995-1997. Da allora, e per tutta l’era del “Sei Nazioni”, solo delusioni. Neanche stavolta partiremo favoriti e, se è vero che l’Irlanda si era presentata a questo torneo con un profilo piuttosto basso ( quattro sconfitte su quattro partite, in estate), la vittoria sull’Australia, fresca vincitrice del “Tri Nations” e considerata la rivale più accreditata degli All Blacks, ne ha rilanciato fortemente le quotazioni. Basterebbe anche un solo punto di margine a nostro favore ( a meno che si vinca con meno di 8 punti di scarto, e noi senza bonus e loro, invece, sì) per spezzare l’incantesimo e proiettarci, per la prima volta, nei quarti. Sarà durissima ( “una battaglia”, tiene a precisare Castrogiovanni) e i nostri lo sanno. Ma sanno anche che, comunque vada, gli irlandesi, alla fine, avranno le maglie molto sudate. Daniele Puppo
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