All’inizio della diffusione del coronavirus nel nord Italia in pochi si sono stupiti che le regioni immediatamente colpite fossero Lombardia e Veneto, le più produttive della Penisola.
Gli intensi scambi commerciali, soprattutto con l’estero sono sembrati a tutti la logica causa di contagio. Il fatto poi che il virus avesse un ceppo genetico derivato da quello individuato a fine gennaio a Monaco di Baviera, ha apparentemente confermato questa prima tesi. La Germania è infatti il primo paese verso il quale esportiamo i nostri prodotti per un valore stimato, nel periodo da gennaio a settembre 2019, di 44.052 milioni di euro pari al 12,1% delle esportazioni italiane.
Tuttavia nello stesso periodo in Germania non si è avuta la stessa diffusione del virus. E’ venuto il sospetto, a più di qualcuno, che forse a spandere il contagio nel produttivo Nord ci fosse di mezzo qualcosa di più, oltre al proverbiale attaccamento al lavoro delle province lombardo-venete.
Secondo uno studio della Società italiana di Medicina Ambientale (Sima), che ha coinvolto medici e ricercatori delle Università di Bari, Bologna, Milano e Trieste, confrontando i dati provenienti dalle centraline di rilevamento delle agenzie regionali per la protezione ambientale (ARPA), con i dati della diffusione del contagio da coronavirus della Protezione Civile, è emersa una diretta corrispondenza tra i superamenti dei limiti di particolato atmosferico Pm10 e Pm2,5 e il numero di persone infette da Covid-19. In letteratura scientifica è notorio già da alcune ricerche – per esempio del 2010, riguardanti la diffusione dell’influenza aviaria, o del 2017, riguardanti la diffusione del morbillo in alcune città cinesi – che il particolato atmosferico funziona da carrier, ossia da vettore di trasporto, per molti agenti contaminanti, sia chimici che biologici, inclusi i virus.
Secondo questi studi i virus si “attaccano” al particolato atmosferico e sono così in grado di rimanere in atmosfera anche per ore, giorni o settimane, ed essere trasportati anche per lunghe distanze, inoltre, dato che il particolato atmosferico, costituisce anche un substrato esso può permettere al virus di rimanere in condizioni vitali per un tempo che varia da ore a giorni.
A questo punto la possibilità che il virus si inattivi dipende essenzialmente dalle condizioni ambientali che incontra: l’aumento delle temperature e delle radiazioni solari velocizza l’inattivazione, un’umidità relativa elevata può viceversa favorire un più elevato tasso di virulenza.
Lo studio spiega così come mai, nelle regioni del sud la curva di espansione dell’infezione si è mantenuta nei normali modelli epidemici tipici di un contagio persona-persona, mentre in Pianura Padana ha ricevuto quel che in gergo si definisce boost ossia un’accelerazione anomala, con focolai particolarmente virulenti.
Dallo studio emerge inoltre che le fasi in cui si evidenziano queste accelerazioni anomale della trasmissione del virus sono concomitanti con la presenza di elevate concentrazioni di particolato atmosferico ben oltre i limiti consentiti per legge, specialmente in Lombardia, e in particolare nella provincia di Brescia ormai diventata con gli odierni 4648 casi (dati del 20 marzo) la seconda provincia più colpita d’Italia dopo Bergamo. Ma con un’accelerazione maggiore, come ha dichiarato l’assessore al Welfare della regione Lombardia Giulio Gallera durante la conferenza stampa in diretta Facebook del 19 marzo.
Un parziale rimedio a questa situazione drammatica lo sta dando, indirettamente, il piano anti Covid-19 che prevede la chiusura forzata di alcune attività produttive e la drastica diminuzione di quelle industriali oltre che la contingentazione degli spostamenti.
I cieli della Cina e quelli del Nord Italia hanno già registrato drastici abbassamenti del tasso di inquinamento da diossido di azoto, come dimostrano i dati raccolti dal satellite Copernicus Sentinel-5P, dell’Agenzia Spaziale Europea. Tuttavia, secondo il virologo Giovanni Maga, direttore dell’Istituto di genetica molecolare del CNR di Pavia, anni e anni di cattiva aria respirata hanno reso la popolazione della Pianura Padana più vulnerabile di altre: “È scientificamente dimostrato che nella popolazione generale l’esposizione prolungata allo smog aumenta le infezioni respiratorie, i disturbi respiratori come tosse e asma, disturbi che riducono ovviamente la funzione polmonare – ha dichiarato Maga in un’intervista – questo rende gli individui meno resistenti all’attacco di virus che colpiscono, come il Covid-19, prevalentemente i polmoni”.
Se dunque da un lato il particolato atmosferico può essere stato un acceleratore nella diffusione del virus è innegabile che respirarlo per anni ci ha reso anche più fragili e indeboliti. Un punto sul quale è necessario riflettere per ripensare le priorità delle politiche ambientali, quando questa emergenza sarà passata.
Elisa Rocca
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