Due di loro – Khuram Butt e Rachid Redouane – vivevano a Barking, alla periferia est di Londra. Il terzo era italiano: si chiamava Youssef Zaghba, figlio di padre marocchino e madre bolognese, ed era stato già segnalato come potenziale foreign fighter.
È questo l’identikit dei tre jihadisti responsabili nell’attentato di sabato notte a Londra, nel quale sono morte sette persone oltre agli attentatori. Il bilancio avrebbe potuto essere anche molto più grave, se i terroristi avessero usato le bottiglie molotov – almeno mezza dozzina – ritrovate dagli investigatori nell’auto con cui hanno investito i pedoni sul London Bridge.
Stamattina la polizia ha compiuto nuove perquisizioni a Ilford, un altro quartiere dell’hinterland della capitale, a pochi chilometri da Barking.
Secondo gli inquirenti, il capo della cellula era Butt, un anglo-pakistano già ben noto per le sue simpatie jihadiste. È lui l’uomo ripreso mentre srotola una bandiera dell’ISIS a Regent’s Park. Il video, circolato in tutto il mondo, è tratto da un documentario sull’integralismo islamico realizzato da Channel 4 e andato in onda l’anno scorso. Butt era in compagnia di due predicatori, anch’essi noti alle forze dell’ordine, e stava discutendo con alcuni agenti di polizia.
Youssef Zahba aveva 22 anni. Come si è già detto, era figlio di un’italiana; da bambino aveva vissuto in Marocco con i genitori, poi madre lo portò con sé in Emilia, dove vive tuttora, dopo il divorzio.
Era stato segnalato come potenziale foreign fighter nel 2016: era all’aeroporto di Bologna con un biglietto di sola andata per la Turchia e pochissimi bagagli. Il sospetto, naturalmente, è che volesse raggiungere i confini della Siria o dell’Iraq per addestrarsi. Sospetto alimentato dalle parole dello stesso Zaghba, che tra il candido e lo spavaldo aveva dichiarato di voler andare proprio ”a fare il terrorista”.
Come vuole la prassi, il giovane era stato sottoposto a fermo immediato e gli inquirenti gli avevano sequestrato pc e telefonino. Su quest’ultimo erano state ritrovate registrazioni di inni dell’ISIS. Ma il procedimento contro di lui si era arenato prima di poter svolgere perizie complete: il Tribunale del Riesame aveva accolto un suo ricorso – nonostante il materiale di propaganda e le dichiarazioni, non c’erano prove sufficienti a contestargli il reato di terrorismo internazionale – e tutto il materiale gli era stato restituito con tante scuse.
In quell’occasione gli inquirenti avevano sentito la madre: secondo la donna, il figlio le aveva detto di voler andare a Roma, e della Turchia – o di qualsiasi altra destinazione in Medio Oriente – non avrebbe fatto parola. La madre aveva ammesso di non riconoscerlo più da quando si era trasferito a Londra, dove abitano altri suoi parenti. Lavorava come cameriere in un ristorante pakistano.
L’intelligence italiana sostiene di aver passato ai colleghi britannici tutte le informazioni raccolte all’epoca. Ma Scotland Yard ha ammesso che Zaghba non era monitorato né da agenti di polizia né da uomini dei servizi segreti.
La scia di falle nella sorveglianza di Zaghba e dei suoi due complici ha gettato benzina sul fuoco delle polemiche, tanto più rilevanti in quanto giovedì nel Regno Unito sono in programma le elezioni politiche. Il leader dell’opposizione, il laburista Jeremy Corbyn, ha attaccato i pesanti tagli al bilancio della polizia decisi dal governo di David Cameron, nel quale l’attuale premier Theresa May guidava il ministero dell’Interno. I tagli, imposti nel tentativo di contenere la spesa pubblica, obbligarono la polizia a ridurre l’organico di circa 20 mila unità.
Intanto proseguono gli attacchi via Twitter del presidente USA Donald Trump al sindaco di Londra, il laburista Sadiq Khan, il primo musulmano a guidare l’amministrazione della capitale. A caldo, poche ore dopo l’attacco, Trump lo aveva accusato di sottovalutare il rischio posto dal terrorismo.
“Non penso che dovremmo srotolare il tappeto rosso per il presidente degli Usa nelle circostanze in cui le sue politiche vanno contro tutto ciò per cui noi ci battiamo”, ha detto Khan in un’intervista a Channel 4 News. Il sindaco ha chiesto al ministro degli Esteri – il suo predecessore a Londra, Boris Johnson – di annullare la prossima visita a Londra del presidente USA.
Dal Foreign Office, però, Johnson lo ha gelato. “L’invito a Trump è stato fatto e accettato”, ha detto in un’intervista radiofonica alla BBC, “e non vedo ragione per cambiare nulla”.
“Sadiq Khan ha fatto bene a parlare come ha parlato, riguardo alle rassicurazioni che ha rivolto ai cittadini di Londra”, ha detto ancora Johnson; ma “non desidero interferire in una disputa fra il sindaco di Londra e il presidente degli Stati Uniti”. “Ci sono passato anch’io”, ha aggiunto, ricordando le sue polemiche con l’allora inquilino della Casa Bianca, Barack Obama.
F.M.R.
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