Il presidente USA Donald Trump ha rivelato informazioni altamente riservate al ministro degli Esteri della Russia, Sergej Lavrov, e all’ambasciatore russo a Washington, Sergej Kisljak.
Lo scrive il Washington Post, e le smentite parziali e frammentarie dei diretti interessati sembrano solo confermarlo.
Il tutto sarebbe accaduto la scorsa settimana alla Casa Bianca, durante l’incontro con i vertici della diplomazia di Mosca. Lo stesso incontro al quale era presente un solo fotografo, che si era accreditato come fotografo personale di Lavrov, ma era in realtà un dipendente dell’agenzia di stampa controllata dal Cremlino.
Trump avrebbe comunicato ai russi informazioni top secret, ricevute dall’intelligence di Stati amici, sulle attività dei jihadisti dell’ISIS.
Nel merito, secondo il WP, Trump ha raccontato che in una certa città della Siria i miliziani stanno preparando un attentato con bombe nascoste in computer portatili imbarcati su un aereo civile. Che l’ISIS avesse la tecnologia necessaria era già di pubblico dominio, ma i dettagli erano strettamente riservati.
La fuga di notizie è già grave di per sé: non si fosse trattato del presidente – l’unico cittadino USA che ha il potere di decidere in piena autonomia cosa è segreto e cosa no, spiega Francesco Costa in due articoli su Il Post – diffondere quelle informazioni lo avrebbe portato sicuramente davanti a un giudice, con il rischio di finire condannato per alto tradimento. Ma non è tutto. Fatto ancora più grave, Trump avrebbe svelato le fonti e i metodi usati dall’intelligence per procurarsi quelle informazioni. Dettagli “così delicati e segreti”, scrive ancora il WP, che “erano stati nascosti anche ai Paesi alleati degli Stati Uniti e a moltissime persone dentro il governo americano”.
Prevedibilmente, questo avrà conseguenze gravi sul lavoro dei servizi dell’informazione, non necessariamente solo in Medio Oriente. È facile prevedere che la possibilità che un presidente riveli dettagli così delicati ai rappresentanti di un altro Stato non incoraggerà gli agenti degli altri Paesi a mettere le loro informazioni in comune con Washington, con tutto quello che ne consegue: la circolazione delle notizie – fondata sulla fiducia reciproca, beninteso – è una delle armi più utili contro le reti del terrore internazionali.
Per giunta, la Russia non è un’alleata degli USA, ma una potenza rivale che in moltissimi teatri gioca su posizioni contrapposte. Soprattutto in Siria, dove sostiene il governo di Bashar al-Assad, che gli USA hanno bombardato poco più di un mese fa. Probabilmente il Cremlino ha già passato quelle informazioni a Damasco. E quindi, quella fonte – quella fonte interna all’ISIS che aveva fornito dettagli precisi e utili per sventare un attentato che potrebbe essere ancora in fase di progettazione – si deve considerare bruciata per sempre. Nella migliore delle ipotesi, ci penserà due volte prima di rivelare altri segreti agli 007 stranieri. La peggiore è facile da immaginare.
Un altro punto da chiarire è perché Trump abbia detto quel che ha detto. “Esiste una remota possibilità che Trump abbia deciso volontariamente di rivelare quelle informazioni alla Russia”, scrive ancora Costa, “magari per ottenere qualcosa in cambio”, ma il comportamento delle istituzioni USA dopo la pubblicazione suggerisce piuttosto un’altra tesi. “Apparentemente ha diffuso queste informazioni per vantarsi”, scrive su The Atlantic Elliot Cohen, professore di relazioni internazionali e consigliere dell’ex segretaria di Stato Condoleezza Rice, “cosa che non mostra solo un pessimo controllo di sé ma anche quanto sia facile manipolarlo, soprattutto per diplomatici e negoziatori esperti e scafati come Lavrov e Kisljak”.
As President I wanted to share with Russia (at an openly scheduled W.H. meeting) which I have the absolute right to do, facts pertaining…. — Donald J. Trump (@realDonaldTrump) May 16, 2017
As President I wanted to share with Russia (at an openly scheduled W.H. meeting) which I have the absolute right to do, facts pertaining….
— Donald J. Trump (@realDonaldTrump) May 16, 2017
…to terrorism and airline flight safety. Humanitarian reasons, plus I want Russia to greatly step up their fight against ISIS & terrorism. — Donald J. Trump (@realDonaldTrump) May 16, 2017
…to terrorism and airline flight safety. Humanitarian reasons, plus I want Russia to greatly step up their fight against ISIS & terrorism.
Il sospetto che sia vera l’ipotesi più inquietante viene anche, come si è detto, da come hanno gestito la notizia le alte sfere di Washington. I capi della CIA e dell’NSA, sempre secondo quel che ha scritto il WP, sono stati avvertiti immediatamente dopo l’incontro. Intanto la Casa Bianca ha chiesto e ottenuto che il giornale non pubblicasse altri dettagli compromettenti. Qualche ora dopo il consigliere per la Sicurezza nazionale, l’ex generale H.R. McMaster, ha letto un comunicato ai giornalisti in cui afferma di essere stato presente all’incontro. “In nessun momento – ha detto – le fonti e i metodi dell’intelligence sono stati discussi. E il presidente non ha diffuso nessuna operazione militare che non fosse già pubblica”. Naturalmente, non erano queste le accuse mosse dal WP a Trump, e ai presenti la cosa non è sfuggita; ma McMaster è uscito dalla stanza senza rispondere ad alcuna domanda.
Anche il segretario di Stato Rex Tillerson ha smentito le stesse accuse non formulate dal WP, ma ha ammesso che Trump, Lavrov e Kisljak hanno parlato della “natura di specifiche minacce”.
Alla fine Trump ha ammesso, dal suo profilo Twitter, di aver fornito informazioni ai russi:
Come presidente volevo condividere con la Russia (durante un incontro alla Casa Bianca programmato pubblicamente), cosa che ho il diritto assoluto di fare, fatti relativi al terrorismo e alla sicurezza del volo aereo. Ragioni umanitarie, inoltre voglio che la Russia rafforzi notevolmente la sua lotta contro l’Isis e il terrorismo.
Chi nega tutto sono i russi: secondo il portavoce del Cremlino Dmitri Peskov, si tratta solo di “voci” che non è il caso di confermare né di smentire.
Negli USA, l’articolo ha scatenato un uragano di polemiche sulla Casa Bianca. È il caso di ricordare che l’FBI sta indagando su supposti contatti fra Mosca e il comitato elettorale di Trump; che diversi uomini della sua amministrazione – tra cui il Procuratore generale Jeff Sessions e il suo primo consigliere per la Sicurezza nazionale, Michael Flynn, che per questo si è dovuto dimettere – hanno mentito al Congresso sui loro incontri con Kisljak; e che il direttore dell’FBI, James Comey, è stato licenziato da Trump, insoddisfatto della gestione dell’inchiesta, con una mossa che non ha precedenti.
“Se vero, questo è uno schiaffo in faccia alla comunità dell’intelligence”, ha twittato il vicepresidente della commissione Intelligence del Senato, il dem Mark Warner. “Mettere a rischio fonti e metodi non è scusabile, in particolare con i russi”. Ma gli strali arrivano anche dai banchi repubblicani. “La Casa Bianca deve fare presto qualcosa per riportare se stessa sotto controllo e nell’ordine”, dice il presidente della commissione Esteri, Bob Corker: “Il caos creato dalla mancanza di disciplina sta creando un ambiente preoccupante”.
Venerdì prossimo Trump partirà per il suo primo viaggio ufficiale da quando è presidente degli USA. Parteciperà al G7 di Taormina e visiterà alcuni alleati chiave degli USA nel teatro mediorientale, come l’Arabia Saudita e Israele.
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