“Sporca pure quando pensa”. Arguta, micidiale ed imperdibile la donna quando parla del suo lui “pigro, pauroso dell’acqua e indisponibile”. Nella commedia, in scena al teatro Testaccio di Roma fino al 12 marzo, si parla del diverso approccio che hanno uomini e donne nella vita e nel rapporto di coppia: lei è sempre efficace che efficiente, con una vista bionica, irreale. Ma sul resto, ovvero sul bilancio familiare, il rapporto con i figli, la capacità socializzante (perché per l’uomo fare pipì è un amplesso solitario mentre per la donna è un’orgia mediatica), lei cerca un aiuto che non arriva mai. Come Godot, con un occhio di riguardo ai vari dialetti – dal bolognese al siciliano, dal toscano al napoletano, dal marchigiano al calabrese – si passano in rassegna i vizi e le paure ataviche di entrambi: le corna per lui e il fantasma dell’amica complice per lei. Ne abbiamo parlato con i due protagonisti dell’esilarante spettacolo, Nino Taranto (anche regista) e Francesca Milani.
Perché la scelta del titolo “Ma vattene a quel paese!”? Perché venire a trovarvi….
Nino Taranto: Il titolo non è un’imprecazione ma un gioco per giustificare i vari dialetti utilizzati. Il senso è quello di andare a trovare in ogni paese le motivazioni che ci sono dietro ad alcuni comportamenti che si ripetono sempre.E’ la filosofia che “tutto il mondo è paese”. Siamo uguali, in realtà, dal nord al sud. E’ un inno anti-razzista e anti-pregiudizi. Si ride tanto e si riflette sul fatto che non può esserci solo un punto di vista. Bisogna mettersi nei panni dell’altro.
Francesca Milani: Lo spettacolo nasce da un’idea di Nino. C’è una doppia lettura: ci si manda a quel paese nella coppia e si mette l’accento sulla territorialità visto che utilizziamo i dialetti. Il valore aggiunto? Si fa ironia e ci sono spunti per riflettere sulle differenze uomo/donna.
C’è un momento dello spettacolo che le piace in particolare? Quale il dialetto che trova più congeniale?
Taranto: E’ divertente la differenza che viene fuori all’interno del dialetto siciliano, tra quello palermitano che deriva dal ceppo arabo e quello catanese dalle origini greche. Chi capisce questo sofisma ha vinto. A me e Francesca diverte molto quello marchigiano per la sonorità.
Milani: Mi piace cimentarmi con le varie caratterizzazioni. Trovo spassosissimi il dialetto calabrese e marchigiano. Sono più rilassata quando li interpreto.
Sul palco c’è una bella sinergia tra Francesca e Nino. Da quanto tempo vi conoscete?
Taranto: E’ la quarta commedia che fa con me. Francesca è straordinaria perché è capace, duttile, camaleontica; addirittura mi corregge anche se sono io il regista. Sono innamorato artisticamente di lei che è una delle attrici più brave nel panorama romano. Siamo anche diventati amici e ci lega un affetto fraterno.
Milani: L’anno scorso abbiamo recitato insieme in “Non ci si crede” dove avevo un doppio ruolo. Precedentemente ci siamo incontrati in altre kermesse comiche in cui facevo coppia col mio collega Danilo De Santis. Nino è una persona estremamente carina che non si mette mai in cattedra e sa ascoltare i consigli. E’ adorabile. Come i bambini non ha sovrastrutture mentali. E’ proprio come appare.
Prossimi progetti? A cosa state lavorando?
Taranto: Sarò in scena al teatro L’Aura di Roma dal 19 al 23 aprile con “Ve lo dico adesso e non ve lo dico più”, dove faccio un excursus di 25 anni sui miei spettacoli. Una carrellata piacevole, in cui sarò accompagnato da un pianista.
Milani: Sarò in scena nuovamente al teatro L’Aura, dal 16 al 19 marzo, con “Affette da affitto”, una mia creatura. Con me ci saranno Roberta Mastromichele e Chiara Canitano. Avevamo già lavorato insieme in “Sali o scendo?” e mi hanno chiesto se avessi pronto un testo per sole donne. E’ venuto fuori un noir comico, con un intreccio tra mistero ed ironia. Sono contenta sia piaciuto a febbraio e lo riproponiamo volentieri.
Erika Eramo
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