Oltre ad aver dato una pesante spallata a un sistema di malaffare nella città, l’inchiesta ‘Mondo di mezzo’ ha spinto le forze politiche a un tentativo di salvataggio in extremis della propria faccia. Assodato che l’indagine ha coinvolto politici senza distinzione di colore e casacca, l’unica risorsa che ha il Pd, oggi al governo di Roma, è tentare con tutte le forze di allontanare l’amaro calice da sé.
La linea di azione trasversale, da Campidoglio al largo del Nazareno, è quella di scaricare, rileggere e riscrivere, i fatti nel tentativo di limitare i danni.
Il diktat deve essere quello di ‘negare, negare, negare’ . Evidentemente, però, non basta ad allentare il nervosismo di Ignazio Marino che, ormai accerchiato, continua a cadere, tra defezioni degli assessori e bastonate dall’opposizione, in veri falli di frustrazione come le frasi pronunciate alla festa dell’Unità.
Non basta però tornare al grigio degli anni ’70 – periodo in cui per certa sinistra ‘uccidere un fascista non è reato’, e invitare la destra a “tornare nelle fogne” da dove è uscita – per distogliere l’attenzione dai nomi degli esponenti del partito che sostiene il sindaco, finiti nel tritacarne delle carte della procura.
Se Carminati, il nero, era il braccio di Mafia Capitale, la mente era quella di Salvatore Buzzi.
Già condannato per omicidio, graziato nel 1994 dall’allora presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro, Buzzi fonda una cooperativa sociale, la 29 giugno, divenuta nel tempo fulcro dei giri poco trasparenti della cricca svelata dai giudici attorno al quale giravano molte figure politiche capitoline di spicco.
Una tra queste è Mirko Coratti. Approdato al Pd dopo anni di militanza in altri schieramenti, Coratti è l’ex presidente dell’assemblea capitolina sotto Marino. Un ruolo che aveva già ricoperto con Veltroni sindaco fino alle elezioni del 2008. È uno dei playmaker del Pd romano quanto a preferenze, politicamente cresciuto nel quadrante Monte Sacro Bufalotta, nei confini dell’attuale III Municipio, Coratti avrebbe ricevuto pagamenti, stando alle evidenze dei Ros, da parte proprio di Buzzi, lo stesso che in un’intercettazione afferma di essersi “comprato Coratti”.
L’ordinanza del Gip chiarisce che l’ex presidente dell’Assemblea capitolina “in concorso con Franco Figurelli, appartenente alla sua segreteria“ ha posto la sua funzione “al servizio dei soggetti economici riconducibili al gruppo di Buzzi nonché nel porre in essere specifici atti contrari ai doveri del suo ufficio” allo scopo, tra le altre cose, di facilitare “sul piano politico-istituzionale l’aggiudicazione di gare indette da Ama a soggetti economici del gruppo di Buzzi”, concorrere alla “formazione del consenso politico e istituzionale necessario alla conferma” di Giovanni Fiscon “nella qualità di DG di Ama SPA, a fronte di una iniziativa dei vertici dell’amministrazione intesa alla sua sostituzione; concorrere alla destinazione di fondi di provenienza regionale al X Municipo; concorrere a sbloccare fondi per il sociale, settore cui erano interessati i soggetti economici riconducibili a Buzzi; pilotare la nomina di un nuovo Direttore del V Dipartimento, in sostituzione della neo incaricata Gabriella Acerbi; formare il consenso politico e istituzionale per il riconoscimento di debiti fuori bilancio, il cui adempimento remunerava anche soggetti economici riconducibili a Buzzi”.
A Coratti viene anche contestato l’aver ricevuto da Buzzi “che agiva previo concerto con Carminati e in accordo con Di Ninno, Cerrito e Caldarelli, promesse ed erogazioni continuative di denaro e altre utilità a contenuto patrimoniale , tra le altre: la promessa di 150.000 euro; la somma di 10.000 euro, erogata alla associazione Rigenera; l’assunzione presso la cooperativa 29 Giugno di persona indicata da Coratti”.
Interrogato dopo l’arresto, definito dal legale un “equivoco giudiziario”, ha negato ogni addebito in modo “fermo e determinato”: “mai avuto rapporti, illeciti o di natura economica, con Salvatore Buzzi – ha affermato Coratti – Basta leggersi le carte dell’inchiesta: non c’è una sola conversazione con lui, intercettata, che mi riguardi”. A due settimane dalla retata, il tribunale del riesame ha deciso, di concedere all’esponente Pd i domiciliari.
Stesso regime detentivo previsto anche per l’ex assessore alle politiche abitative Daniele Ozzimo, sotto indagine da dicembre e oggetto di ordinanza di custodia dallo scorso 4 giugno. Classe 1972, un passato nel volontariato sociale, si iscrive nel Pds prima, per diventare nel 2000 segretario dei Ds del V Municipio. Poco dopo, è l’aprile del 2003, viene assunto in Atac. L’arrivo in Campidoglio, da consigliere del Pd, avviene nel 2008 e, fino alla fine del mandato Alemanno, Ozzimo siede sulla poltrona di vicepresidente della commissione Politiche Sociali – quella presieduta nello stesso lasso di tempo da Giordano Tredicine -. Il salto sullo scranno da assessore glielo fa fare Ignazio Marino.
E proprio “nella sua qualità prima di consigliere capitolino e vicepresidente della Commissione Politiche Sociali e membro della Commissione Lavori Pubblici, Scuola e Sanità” e poi “di assessore al comune di Roma, poneva a servizio di Buzzi la sua funzione e poneva in essere atti contrari ai doveri del suo ufficio”.
Atti che, secondo le carte, avrebbero avuto a che fare con la partecipazione “alle delibere consiliari relative ai riconoscimenti del debito fuori bilancio dal 2012 e nel 2014; nella creazione del consenso politico e istituzionale necessario all’adozione delle delibere per il riconoscimento del debito fuori bilancio; nella proposizione di mozioni in seno al consiglio comunale intese a facilitare la proroga delle convenzioni relative al verde pubblico per le cooperative riconducibili a Buzzi; nella partecipazione alla riunione di giunta del luglio 2014, proteggendo la posizione di Fiscon, il cui ruolo era posto in discussione dal sindaco”.
Oltre questo, è stata messa sotto la lente d’ingrandimento la “costante erogazione di utilità a contenuto patrimoniale” inclusa una assunzione e l’erogazione, nel maggio 2013, di quello che “formalmente” viene qualificato come un “contributo elettorale” da 20mila euro “da parte di Buzzi che agiva in accordo con Carminati”.
Comportamento contrario ai doveri di ufficio anche per Pierpaolo Pedetti. Praticamente coetaneo di Ozzimo – è di un anno più giovane – Pedetti si forma politicamente nelle organizzazioni giovanili e studentesche della sinistra. Segretario della sezione universitaria del Pds, è tra i fondatori dell’Udu, una delle sigle dei sindacati studenteschi rossi. Nel 1998 entra a far parte della direzione romana dei Ds. Lavora, presumibilmente, nel dietro le quinte del partito capitolino perché di lui, stando al curriculum ancora on line sul sito del comune di Roma, si perdono le tracce fino al 2011, quando diventa presidente dell’associazione Democratici e Riformisti, il cui presupposto era quello di costruire il programma del Partito Democratico di Roma. Nel 2012 entra nella direzione regionale del partito. Nel 2013 l’elezione al consiglio comunale e la presidenza della commissione Patrimonio. Quella che tra le altre cose, ha competenza diretta sugli immobili facenti capo al Campidoglio e che l’amministrazione sta valutando di mettere all’incanto per tentare di far quadrare i conti di un bilancio sempre più disastrato.
Il nome di Pedetti, forse meno noto di quello dei suoi compagni di partito, era certamente conosciuto tra gli addetti ai lavori. E non doveva essere un nome nuovo nemmeno alle forze dell’ordine che, nell’ottobre 2014, indagano proprio sul presidente e consigliere comunale del Pd. Pedetti viene iscritto nel registro degli indagati nell’ambito dell’inchiesta della Procura di Roma sugli appalti per i parcheggi dei mercati rionali. L’ipotesi è quella di aver favorito la società Cam per l’aggiudicazione degli appalti.
“Sono abbastanza sereno – dichiarò all’epoca – non avrò nessun problema a dimostrare che sono estraneo ai fatti contestati”. Fatto sta che l’immagine degli uomini della Guardia di Finanza che entrano negli uffici di largo Loria per perquisire proprio le sue stanze hanno cozzato abbastanza con quella del rinnovamento che la sinistra si è imposta dal suo arrivo nelle istituzioni.
Mondo di Mezzo, all’epoca, era però solo nelle carte dei magistrati. Ed ecco che oltre all’ipotesi corruttiva nella vicenda Cam, il nome di Pedetti sbuca nelle carte di Pignatone perché “nella sua qualità di Consigliere dell’Assemblea Capitolina e Presidente della VII Commissione patrimonio e Politiche Abitative del Comune di Roma chiedeva a Buzzi di acquistare un appartamento, intestato a una società a lui riconducibile, per il compimento di atti contrari ai doveri del suo ufficio consistenti nel promuovere in sede di Assemblea Capitolina, anche mediante emendamenti, di commissioni e di Giunta deliberazioni intese a garantire consistenti sconti e legittimazioni all’acquisto alle Onlus, tra le quali rientravano le cooperative facenti capo a Buzzi, in sede di dismissione del patrimonio immobiliare del comune di Roma”.
È proprio in questo contesto che il M5S capitolino definisce, con enfasi, “della vergogna” l’emendamento presentato da Pedetti nell’ambito del provvedimento sulla cessione degli immobili del comune. Si garantivano, con il testo dell’esponente del Pd, “vendite a onlus amiche del Comune a cui concede la prelazione con sconto del 40%”. La cosa che stona di più, in realtà, era la previsione che vi fosse “diritto di prelazione anche per i non aventi titolo che in qualsiasi modo siano entrati in possesso dell’immobile”. Per Frongia, De Vito, Stefàno e Raggi, rappresentanti capitolini del Movimento di Grillo, si trattò di “favoritismi privi di ogni plausibile logica (almeno apparentemente…). Siamo al cospetto del solito Pd, che dietro la scusa della valorizzazione, il valore lo concede solo a pochi”.
Altro nome del mondo del centrosinistra capitolino a figurare nel capitolo I dell’ordinanza del Gip Costantini, il cui titolo eloquente è “le corruzioni all’interno del consiglio comunale di Roma”, è quello di Massimo Caprari, capogruppo – e anche unico rappresentante – di Centro Democratico in Campidoglio.
Ragioniere, agente di commercio, Caprari “caratterizzato – si legge nel suo curriculum – di sensibilità particolare nel cogliere le esigenze delle persone e del territorio, sia in ambito cittadino sia, nel corso degli anni, in ambito provinciale, si dedica all’attività politica fin dal 2001, quando è eletto Consigliere Municipale del Municipio IV (ex V)”.
L’impegno cresce nel tempo quando, dopo essere stato presidente del consiglio municipale, diventa consigliere in Provincia, nel 2008, e, allo stesso tempo, assessore municipale nel 2010. Nel 2014, Caprari si candida alle europee con Scelta Europea, ma le 1312 preferenze ottenute non bastano per farlo volare a Bruxelles.
Nelle carte dell’inchiesta, Caprari figura come uno degli attori impegnati nei riconoscimenti dei debiti fuori bilancio. Una questione che si ripropone con cadenza puntuale di anno in anno, anche nel 2014.
Caprari viene fotografato dagli inquirenti come posto “al servizio dei soggetti economici riconducibili al gruppo di Buzzi” tanto da aver ricevuto proprio dal ras delle coop “promesse ed erogazioni continuative di denaro e altre utilità a contenuto patrimoniale” tra cui “la promessa di una remunerazione costante, commisurata al valore dei lavori di volta in volta assegnati alle imprese riconducibili a Buzzi” e una assunzione.
Sempre del Pd, l’ex minisindaco del X Municipio Andrea Tassone. Proprio sul territorio di Ostia, il mare capitolino, si sarebbe giocata una partita delicata e, almeno guardando le carte, abbastanza lucrosa per il sistema messo in piedi da Buzzi e Carminati.
Gli inquirenti contestano ad Andrea Tassone di essere stato beneficiario di erogazioni di “somme di denaro non inferiori a 30.000 euro per la sua funzione e perché costui ponesse in essere atti contrari ai doveri del suo ufficio, in violazione dei doveri d’imparzialità della pubblica amministrazione, consistenti, tra l’atro: nel rivendicare la competenza del X Municipio in materia di lavori per la pulizia delle spiagge; nel comunicargli notizie e informazioni sulla procedura di selezione del contraente, in relazione all’affidamento diretto da parte del X municipio per i lavori a somma urgenza per indagini sulla stabilità delle alberature stradali e conseguenti interventi di potatura e per i lavori per la pulizia delle spiagge”.
“Un terzo gruppo di condotte – si legge anche – sono costituite dalla partecipazione all’accordo per convogliare fondi regionali assegnati al comune di Roma verso il X municipio, presidiato da amministratori compiacenti con Buzzi, perché da lui remunerati”.
Si tratta dell’incrocio di responsabilità che avrebbe portato i fondi stanziati dalla Regione ai comuni e, quindi in questo caso a Roma, a venire indirizzati nello specifico verso il municipio guidato da Tassone: si trattava di risorse economiche “che il Buzzi tende a canalizzare, intervenendo sugli organi del Comune, verso il X municipio, dove era sicuro di potersi appropriare di tali risorse con l’aiuto del Presidente da lui corrotto”.
Era marzo quando Tassone rassegnava le sue dimissioni da minisindaco consegnando nelle mani del sindaco – che poi lo affiderà ad Antonio Sabella – il governo di Ostia. Territorio dove secondo Orfini “non dobbiamo avere paura di dirlo c’è la mafia”.
Non è tutto però.
Nelle pagine dell’inchiesta tornano con cadenza puntuale nomi di altri esponenti politici, verso i quali tuttavia non esistono atti formali di indagine.
Intercettazioni come quella del 17 novembre, per la quale se Marino “resta sindaco altri tre anni e mezzo, con il mio amico capogruppo ci mangiamo Roma” potrebbero portare comunque a nuovi sviluppi.
È bastata, ad esempio, una foto con Buzzi a far dimettere il capogruppo del Pd al consiglio Regionale del Lazio Marco Vincenzi.
Il sodalizio di Buzzi e Carminati, infatti, parla con tutti, senza distinzione di colore politico. E se ha in Luca Gramazio un interlocutore, sembrerebbe trovarne un altro proprio nell’ormai ex capogruppo dem.
Per il Ros, che ha documentato gli incontri tra i due, “l’11 luglio 2014, mentre era in corso la definizione della gara relativa alla pulizia delle spiagge di Ostia, emergeva che lo stanziamento iniziale da 1,2 milioni di euro era aumentato di 600 mila euro, fino a 1,8 milioni, ottenuto attraverso l’intervento di Vincenzi: ‘il milione e due di Gramazio, che deve andare sui Municipi, sta diventando… è diventato un milione e otto perché seicento ce li ha messi pure Vincenzi”. Nel calderone rientrano anche le verifiche sull’appalto del cup, il centro unico di prenotazioni sanitari del Lazio, sul quale gli inquirenti indagano e che ha portato alle dimissioni del braccio destro del governatore Nicola Zingaretti, Maurizio Venafro.
Altro episodio è invece quello in cui Buzzi racconta di un incontro con l’allora segretario del Pd romano, Lionello Cosentino. In quell’occasione, lo scorso 9 settembre annotano gli inquirenti, si fa riferimento “alla richiesta di 6-7.000 euro avanzata da Cotticelli – il tesoriere locale – e alla consuetudine sistematica del “primo di ogni mese” di pagare stipendi a pubblici ufficiali”.
“Cotticelli – riferiscono i Ros – spiegava che erano in estrema difficoltà, in quanto non erano riusciti a pagare gli stipendi di agosto e non sapevano cosa fare, quindi chiedeva a Buzzi se poteva aiutarli. Buzzi dava il suo assenso dicendo che avrebbe fatto un assegno, poi chiedeva a Cotticelli che tipo di ricevuta gli avrebbe lasciato, al che quest’ultimo rispondeva: ‘Ti lascio una ricevuta come Partito democratico di Roma’. Buzzi gli spiegava che la ricevuta serviva per metterla in contabilità, quindi dava disposizione di elargire subito l’importo richiesto da Cotticelli. Poi disponeva la compilazione di un assegno di 7.000 euro, tratto da un conto della ‘29 giugno’ intestato a ‘Pd di Roma’”.
Ritorna nelle carte, ma si dice estraneo ai fatti e, va ribadito, al momento non risulta essere oggetto di indagine, il nome dell’ex capogruppo Pd del Campidoglio, Francesco D’Ausilio.
Nell’ordinanza del Gip Costantini il suo nome ricorre nella parte riferita agli addebiti a Giovanni Fiscon: “riceveva da Buzzi utilità consistite nell’organizzare in sede di consiglio comunale e di giunta il consenso politico – attraverso i consiglieri Coratti, D’Ausilio, Ozzimo e l’interlocuzione con Umberto Maroni, deputato- necessario alla riconferma di Fiscon medesimo nel ruolo di DG di Ama, a fronte di una iniziativa del Sindaco che intendeva disporne la sostituzione”.
Il nome dell’ex capogruppo dem appare anche nell’analisi che gli inquirenti fanno sul Municipio di Ostia.
Come detto, l’obiettivo dell’organizzazione era convogliare i fondi regionali stanziati per il comune di Roma “verso quei municipi i cui rappresentanti istituzionali piegavano la loro discrezionalità all’utilità dei soggetti economici riconducibili al gruppo di Buzzi, come nel caso del X municipio. Operazione non semplice, che, a detta di Buzzi e dei suoi complici, si scontrava con gli appetiti economici di rappresentanti del consiglio comunale (D’Ausilio), che rivendicavano un potere d’interdizione sull’assegnazione dei lavori”.
E sempre tra le intercettazioni, quella dove Buzzi introduce anche i nomi di Luca Giansanti e Alfredo Ferrari, esponenti rispettivamente della lista civica Marino e del Pd.
“vogliono trentamila – dice Buzzi – quindici Luca (Giansanti, ndr) e quindici Ferrari, extra del pacchetto di cento, tant’è vero che dopo che gli ho detto si, già è uscita l’agenzia che è FERRARI che cambia i numeri in bilancio, (incomp.) dietro gli altri, perché non mi va’ di dire agli altri che Luca e Ferrari pigliano i soldi…”. Parole ovviamente rimaste nei nastri dei Ros e nelle carte di una inchiesta enorme, ma che al momento non hanno costituito un presupposto per una indagine tanto che entrambi i consiglieri capitolini non sono iscritti in alcun registro.
R.V.
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