Torna a tremare la politica romana. La seconda ondata di provvedimenti giudiziari legati all’inchiesta Mondo di Mezzo ha portato a far scattare le manette per 44 persone nel Lazio, Abruzzo e Sicilia e 21 indagati a piede libero. Si tratta del secondo atto dell’inchiesta avviata lo scorso dicembre e che, con tutta probabilità, non sarà l’ultimo. Il nuovo blitz dei Ros, partito questa mattina, ha trasversalmente interessato nomi eccellenti della politica capitolina da sinistra a destra: tra gli arrestati l’ex presidente dell’Assemblea Capitolina ed esponente Pd, Mirko Coratti, l’ex capogruppo Forza Italia del consiglio Regionale Luca Gramazio, l’ex assessore capitolino alla casa Daniele Ozzimo, il presidente della commissione Patrimonio Pierpaolo Pedetti, Massimo Caprari (Centro democratico), l’ex capo dipartimento delle Politiche sociali del Comune Angelo Scozzafava.
Ai domiciliari, invece, il vicepresidente del consiglio comunale di Roma Giordano Tredicine; l’ex presidente del X Municipio Ostia Andrea Tassone, e il sindaco di Castelnuovo di Porto, Fabio Stefoni, città sede di un Centro accoglienza per richiedenti asilo.
Sullo sfondo, proprio il business legato all’accoglienza e alla gestione dei flussi migratori e dei centri per i rifugiati.
Dallo scorso dicembre, le indagini hanno portato al delinearsi di un quadro complesso, intuito a grandi linee già nella prima fase dell’inchiesta ma che, in questi mesi, ha portato gli inquirenti a parlare di un “ramificato sistema corruttivo finalizzato a favorire un cartello di imprese, non solo riconducibili al sodalizio, interessato alla gestione dei centri di accoglienza e ai consistenti finanziamenti pubblici connessi ai flussi migratori”.
Proprio gli accertamenti successivi alla prima tornata di arresti, hanno confermato “l’esistenza di una struttura mafiosa operante nella Capitale, cerniera tra ambiti criminali ed esponenti degli ambienti politici, amministrativi e imprenditoriali”.
Quello che emerge, dunque, è un quadro di “diffusa attività di condizionamento” operata a tutti i livelli da quella che il Pm Pignatone ha definito Mafia Capitale. Una realtà che si è resa possibile grazie alla diffusa rete di rapporti e al “ramificato sistema tangentizio intessuti dal gruppo mafioso” anche grazie al coinvolgimento di amministratori e pubblici ufficiali.
Secondo l’accusa, infatti, è fuori discussione la centralità della figura di Buzzi e delle imprese che a lui facevano riferimento, che nel corso del tempo “si sono assicurate mediante pratiche corruttive e rapporti collusivi numerosi appalti e finanziamenti della Regione Lazio, del Comune di Roma, e delle aziende municipalizzate”. Un meccanismo “articolato” che si estendeva, attraverso la figura di Luca Odevaine, fino al tavolo di coordinamento nazionale sull’accoglienza per i richiedenti asilo presso il quale l’ex capo di gabinetto di Veltroni è riuscito a “ritagliarsi aree di influenza crescenti” garantendo, con il suo intervento, consistenti “benefici economici a un ‘cartello di imprese’ interessate alla gestione dei centri accoglienza determinando l’esclusione di imprese concorrenti dall’aggiudicazione dei relativi appalti”.
Nello schema ricostruito dai Pm, il sistema non si sarebbe retto senza un interessamento diretto e attivo della politica, sia locale che regionale. Gramazio, stando all’accusa, avrebbe interagito in qualità di esponente politico sfruttando la capacità “di influenza nell’ambiente istituzionale”,ponendo in essere ”condotte strumentali al conseguimento degli scopi del sodalizio”.
Una vera e propria attività di condizionamento che avrebbe contribuito alla costruzione del sistema che oggi la Procura sta svelando e cercando di smantellare e al quale la politica reagisce, o almeno tenta di farlo, prendendo le distanze, salvando il salvabile.
Non bastano, però, le dichiarazioni di Ignazio Marino, sindaco capitolino, a cancellare lo spettro di una caduta anticipata di Roma. E se le opposizioni, a gran voce, hanno chiesto le dimissioni del primo cittadino, lo stesso sindaco in mattinata e il delegato Matteo Orfini, in conferenza stampa nel pomeriggio, hanno scongiurato questa ipotesi.
“Stiamo cambiando tutto, continuiamo in questo modo” ha dichiarato il primo cittadino che si è detto anche “estremamente felice e orgoglioso del procuratore Pignatone che sta svolgendo, dal suo punto di vista, lo stesso compito che stiamo svolgendo noi nell’amministrazione”.
“Credo – ha dichiarato Marino – che la politica nel passato abbia dato un cattivo esempio ma oggi sia in Campidoglio ed in alcune aree come Ostia abbiamo persone perbene che vogliono ridare la qualità di vita e tutti i diritti e la dignità che la Capitale merita”.
Poco importa, poi, se Marino ha lasciato correre sul fatto che in pochi mesi la sua amministrazione ha visto cadere sotto i colpi dell’inchiesta un assessore, un presidente del consiglio comunale, un capogruppo di un partito che sostiene la maggioranza in Campidoglio, un presidente di una commissione consiliare. E questo solo per rimanere nell’ambito squisitamente politico di maggioranza, perché altrimenti andrebbe citato anche il nome dell’ormai ex responsabile della direzione Trasparenza del Campidoglio, accusato proprio nell’inchiesta Mondo di mezzo di associazione di stampo mafioso, nominato da Ignazio Marino il 15 novembre 2013.
E se il comune piange, per quanto si cerchi di smorzare i toni, la regione lazio non ride, considerato che gli ulteriori sviluppi dell’inchiesta potrebbero vedere un coinvolgimento, da vicino, anche dell’attuale maggioranza Zingaretti. Maggioranza regionale scossa, nelle settimane passate, dalle dimissioni anticipate del capo di gabinetto di Zingaretti, Maurizio Venafro, coinvolto in una gara di appalto per il servizio di prenotazione sanitaria regionale, indetta e revocata lo scorso dicembre. L’abitazione dell’ex braccio destro di Zingaretti, il cui nome ricorre proprio nelle carte dell’inchiesta, è stata oggetto oggi di una perquisizione da parte delle forze dell’ordine.
Il timore è quello di vedere consolidata l’ipotesi, oltre alla corruzione, anche di una turbativa proprio di questa gara. Negli atti si legge che “Buzzi, Carminati e Gramazio, elaboravano il progetto di partecipazione alla gara, assumevano le determinazioni generali in ordine alla turbativa e utilizzavano il ruolo di Gramazio, espressione dell’opposizione in Consiglio Regionale per rivendicare, nel quadro di un accordo lottizzatorio, una quota dell’appalto”. Inoltre, “mediante intese, collusioni e accordi fraudolenti tra i partecipanti alla gara e con Angelo Scozzafava – ex dirigente dei servizi sociali del comune di Roma a sua volta arrestato ndr – pubblico ufficiale componente la commissione di aggiudicazione, finalizzati a ottenere per RTI Sol.Co. l’aggiudicazione di uno dei lotti in concorso, turbavano la gara comunitaria centralizzata a procedura aperta finalizzata all’acquisizione del servizio Cup occorrente alle Aziende Sanitarie della Regione Lazio”.
Al di là delle considerazioni prettamente giudiziarie, quello che emerge è un quadro laconico.
Non tanto per il fatto che qualcuno tenti – a volte con successo – di piegare il sistema a proprio uso e consumo, quanto perché, in questi mesi, le ‘riflessioni’ viste all’interno dei partiti sono state forse solo di facciata.
E se nel centro destra, allo sbando per le sue, senza una guida e soprattutto senza un percorso, poteva essere quasi possibile, aspettarsi una forma di vuoto, di silenziosa assenza, nel centro sinistra, che da poco si è riscoperto rottamatore sic et simpliciter, un leader, una linea, un confronto esistono.
La riduzione di ogni questione a una qual forma di pesante eredità del passato equivale a voltarsi dall’altra parte. E oggi, forse, quello che i cittadini chiedono è una onesta assunzione di responsabilità. La capacità di ammettere l’errore, di fare un passo indietro. Il resto è fuffa di chi tenta di salvare il – poco – salvabile-
R.V.
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